Conosceva Byron Ostler solo vagamente: apparteneva a quella cerchia di amici che ormai si era assottigliata. Lui non era un artista, ma commerciava in pietre esotiche. Ormai afflitta dal dolore costante, con la paura di prendere una dose esagerata di pillole, Teresa riconsidero l’idea di usare le pietre dei sogni. Producevano delle visioni, dicevano i suoi amici artisti. Be’, lei non desiderava visioni, dal momento che ne aveva gia anche troppe per conto suo. Ma le visioni, almeno, potevano scacciare il demone dell’angoscia. Valeva la pena di tentare.
Si sforzo di non far caso alla pieta che traspariva dal viso di quell’irsuto veterano in tuta consunta, quando ando a parlargli. Gli tese la mano con il denaro. Ormai gliene rimaneva ben poco. Ma lui non volle prenderlo. Sbatte le palpebre dietro gli occhiali a forma di luna piena e le
— Che cosa?
— Consideralo un favore personale — ripete lui. — Fallo qui.
La visione fu intensa. Rimase in trance solo per un paio d’ore, riferi Byron, ma a lei sembro un tempo infinito. Teresa vide, come pezzi di un mosaico, le immagini dal mondo lontano degli stranieri alati. Danzo come un turbine attraverso la storia. Stranamente, per quanto ci fossero miseria, dolore e sofferenza in cio che vedeva, lei ne ricavo una certa forza. Era il vigore delle immagini a rianimarla, penso. Quel fiume di vita, intrecciato in una doppia spirale, all’infinito.
Vide anche, per la prima volta, la bambina che avrebbe occupato in futuro tanta parte dei suoi sogni.
Indossava stracci al posto dei vestiti e scarpe da tennis legate con lo spago. — Devi cercarmi — le diceva in tono solenne. — Devi trovarmi. — E Teresa scopri che quell’imperativo era dentro di lei, e forse c’era stato per tutto quel tempo. Si, doveva trovarla.
Byron mise in moto la sua motolancia e la riporto nello studio nella zona sud della Citta. Non era uno studio. Ora lo vedeva chiaramente. Era un angolo sordido in un edificio abbandonato. Teresa guardo la ciotola piena di pillole, con aria sgomenta.
— Posso chiamarti un dottore — disse Byron.
Lei si strinse nelle spalle. Stava morendo, ed era rassegnata ad accettarlo. Lo disse a Byron, ma proprio mentre lo diceva, senti gonfiarsi dentro di se un’inaspettata riluttanza. — Voglio usare ancora la pietra — mormoro.
— Allora lasciami portare qui un dottore. E del cibo. — Byron si guardo intorno. — E forse sara meglio che ripulisca un po’ questo posto. Cristo, e un cesso.
Lei acconsenti.
Il recupero fu molto duro. Il medico che Byron porto da lei era un rifugiato MD, che le inietto subito delle vitamine e mise sotto controllo i suoi neuropeptidi con un monitor tascabile. Dopo, Byron la persuase a mangiare qualcosa.
La salute fu quasi un trauma. Il mondo le sembro tinto da colori piu vividi e persino il cibo ebbe un gusto migliore. Teresa ricomincio a lavorare. Con il denaro guadagnato, trovo una sistemazione piu vicina a Byron. Comincio a fare lunghe passeggiate fino al margine della darsena per guardare le nuvole che venivano dal mare. Non aveva smesso di desiderare le pillole, e il medico le disse che, probabilmente, la voglia le sarebbe rimasta per sempre, dato che era ormai impressa in modo indelebile nel suo organismo. Ma le pietre esotiche sembravano attenuare il desiderio. Teresa non capiva molto di cio che vedeva in trance, ma tento di riprodurre alcune immagini nel suo lavoro. Cosi, esegui il primo dipinto su cristallo, un luminoso paesaggio alieno.
Sapeva che Byron si era innamorato di lei. E sapeva anche che lei non lo amava.
Per un certo periodo ci provo. Ando a vivere con lui, e fecero l’amore con tenerezza, se non con passione. Ma era un esperimento fallito in partenza, e lo sapevano entrambi. Lui la desiderava, le spiego, ma non voleva che lei fosse spinta dalla semplice gratitudine.
Questo la fece sentire vuota e fredda. Teresa tento di rassicurarsi, e anche di riaffermare una certa indipendenza, prendendosi altri amanti tra gli artisti che conosceva, ma lo sforzo si dimostro vano. Il che la convinse di aver perso la capacita di amare, magari per colpa delle pillole.
Il suo legame ossessivo con gli oneiroliti si approfondi. Byron la presento a Cruz Wexler, l’accademico che aveva scritto due libri sulle pietre e che dirigeva una specie di centro di ricerca fuorilegge nella vecchia proprieta di Carmel. Wexler, un uomo di mezza eta, con un’espressione schietta e un enfisema progressivo e incurabile, si dimostro entusiasta dei suoi lavori e li fece conoscere ad alcuni amici facoltosi. Cosi Teresa ricavo nuovi guadagni. Rimise a nuovo il suo studio nella Citta Galleggiante e compero attrezzi che non aveva mai potuto permettersi.
E quando una nuova inquietudine la sopraffece, insieme alla sensazione di essersi spinta fino ai limiti del probabile nella conoscenza degli oneiroliti senza aver ritrovato la propria completezza, fu ancora Cruz Wexler a darle una nuova speranza accennando all’esistenza di un nuovo tipo di pietre, quelle di profondita, che potevano fornire una risposta alle sue domande.
Lei avverti un’ansia quasi fisica. — Posso averne una?
Lui sorrise. — Nessuno di noi puo averla. Ho parlato con gli altri istituti di ricerca. I controlli sono severissimi.
Fu una delusione enorme. Le pietre riprodotte da Byron, sebbene generassero visioni del passato, non avevano mai risolto il mistero della sua prima infanzia. Qualche volta Teresa aveva rivisto l’incendio, un inferno di fumo e fiamme, ma niente che riguardasse se stessa. Continuava a ignorare dov’era nata e chi fossero i suoi genitori. I ricordi erano rimossi molto in profondita, aveva detto Wexler. Lei aveva cominciato a credere che le risposte che voleva fossero sepolte in un specie di pozzo buio. Quando ne avesse trovato la chiave, anche lei sarebbe diventata una persona nuova.
Un mese piu tardi, Wexler le aveva detto di aver organizzato un acquisto, non in Oriente ma in Brasile, a Pau Seco, proprio dove si trovava la miniera. Era una mossa dispendiosa e poco ortodossa, ma ne valeva la pena. La nuova pietra avrebbe contenuto tutte le risposte, la saggezza misteriosa, la gnosi finale. Teresa fu contagiata dal suo entusiasmo.
Aveva solo bisogno di un corriere, spiego Wexler. Una persona incensurata, che non avesse contatti troppo stretti con lui.
Byron rimase di stucco quando Teresa si offri volontaria. — Tu non ne sai niente… Cristo, a che cosa pensavi quando gli hai detto che saresti andata laggiu?
— Non capisci. Io ho bisogno di andare. — Erano ore che camminavano su e giu per i canali, accanto alle bancarelle galleggianti riparate dalle tende, con il sale che luccicava sui camminamenti sotto una fila di luci al vapore di sodio. Teresa lo prese per mano, intuendo che era davvero spaventato per lei e che il suo bizzarro e tormentato amore era piu vivo che mai. — E molto importante per me. Non posso rinunciare a questa possibilita.
— Vengo con te — disse lui.
Lei acconsenti, perche Byron conosceva il luogo dove sarebbero andati e perche la sua intuizione poteva rivelarsi corretta. Forse l’impresa non era cosi semplice come aveva promesso Wexler. Acconsenti anche quando Byron decise di portare con loro l’Angelo della Rete, Raymond Keller, altro veterano. Ma le sue concessioni si erano fermate li.
E cosi erano in Brasile.
Solo una finestra la separava da Pau Seco. Poteva sentirne l’odore. Avvertiva la vicinanza di quegli oggetti antichissimi, le pietre venute dalle stelle, frammenti dispersi sottoterra. Ma la miniera era un luogo vasto e orrendo, che aveva frantumato le sue speranze. Aveva rischiato la sua vita, penso tristemente, insieme a quella di Byron e di Keller, per una voce che sentiva nella mente. Per un semplice sogno.
Per la sensazione di essersi persa. Una sensazione che provava da anni, da tutta la vita.
Aveva paura di mettersi a dormire. Ripensare alle minuscole pillole nere, le encefaline sintetiche, aveva risvegliato il vecchio desiderio. Se ne avesse avuta una, penso, l’avrebbe presa. Ed era un’idea infida e pericolosa.
Fisso il cielo senza stelle oltre i vetri e si auguro che spuntasse presto l’alba.
9
Stephen Oberg rimase perplesso quando incontro il responsabile della sorveglianza militare di Pau Seco. L’uomo era un massiccio brasiliano dell’entroterra, con occhi scuri e un profondo senso della territorialita. Si presento come Maggiore Andreazza e offri a Oberg una sedia dallo schienale stretto e scomodissimo. Il suo ufficio si affacciava sull’ampia valle della miniera. Lui si accomodo in un’elegante poltrona girevole dietro la sontuosa scrivania.
— Grazie — disse Oberg.
Andreazza lo guardo come da lontano. — Dovete dirmi perche siete venuto fin qui — dichiaro.
E cosi Oberg dovette rispiegare tutto un’altra volta. Le potenze dell’Anello del Pacifico erano ansiose di assicurarsi che gli oneiroliti di profondita non cadessero nelle mani di persone poco sicure. A tal fine, le organizzazioni di sicurezza avevano intensificato i controlli negli istituti di ricerca in Virginia, a Kyoto e a Seoul. Tuttavia, un informatore vicino allo scienziato americano Cruz Wexler aveva avvertito l’Organizzazione che si premeditava un asporto proprio li, a Pau Seco. Oberg era venuto per impedirlo.
Andreazza giro la poltrona verso la finestra. — Noi stessi siamo gia molto impegnati con i controlli — fece notare.
— Lo so. — Con i fucili, penso Oberg, le intimidazioni e le esecuzioni pubbliche. Solo l’anno prima c’erano state parecchie impiccagioni a Pau Seco. Eppure… Cerco le parole. — I controlli non sono stati abbastanza rigorosi.
Andreazza alzo le spalle. — Le
— Non intendo criticare i vostri sforzi, Maggiore. Sono sicuro che sono encomiabili. Voglio solo localizzare tre americani. — Apri la valigetta, ne estrasse le fotografie che aveva ottenuto dai funzionali della SUDAM e le fece scivolare sulla scrivania di Andreazza.
Il maggiore diede loro una rapida scorsa. — Se sono qui — commento — dubito che siano ancora cosi puliti.
— Sappiamo che hanno un contatto nella citta vecchia — insiste Oberg. — Qualcuno che probabilmente li ospita.
— Noi controlliamo la miniera — preciso Andreazza. — In qualche modo controlliamo anche le baracche, si capisce; ma non sopravvalutateci, signor Oberg. Fuori dal recinto vivono duecentocinquantamila persone. La citta vecchia e nel caos. Senza nemmeno un nome, c’e un limite a cio che possiamo fare.
— Abbiamo il nome — ribatte Oberg.
— Davvero?
— Il nome e Ng.
— Capisco — disse Andreazza, annuendo.
Pranzarono insieme al commissariato militare. Oberg era ansioso di continuare il suo lavoro, l’urgenza gli rendeva l’attesa insopportabile, ma Andreazza l’obbligo a rispettare il protocollo della buona educazione. Il cibo, era ovvio, risulto disgustoso.
— Oberg — disse Andreazza a un certo punto. — Stephen Oberg. Lo sapevate che c’era un Oberg qui, durante la guerra? Apparteneva ai Reparti Speciali, penso. Rase al suolo un certo numero di villaggi a ovest di
— Non lo sapevo — rispose l’altro con disinvoltura.
— Gia — concluse Andreazza, in tono pensoso.
10