ELETRONORTE scritta a lettere bianche un po’ sbiadite sulla fiancata mezzo arrugginita del veicolo. L’autista aspettava, con il motore in folle.
Keller si fece avanti per primo, seguito da Byron e poi da Teresa. L’autista, dagli occhi grandi e impassibili, fece cenno di salire dietro. Keller richiuse con un colpo secco la portiera e il veicolo riparti immediatamente.
Sedettero sul pianale di metallo completamente sgombro, con la schiena appoggiata alla paratia.
— Dove ci porta? — chiese Teresa con voce stanca.
Byron si strinse nelle spalle. — Non ha molta importanza, dato che non possiamo piu passare da Rio. E meglio che evitiamo le grandi citta, almeno per il momento.
Teresa strinse tra le mani il fagotto della pietra esotica, quasi accarezzandolo con le dita. — Almeno abbiamo ottenuto cio che volevamo — commento.
—
Keller non disse nulla. Teresa si era appoggiata contro di lui, a occhi chiusi. L’uomo le mise un braccio attorno alle spalle, per farla stare piu comoda, e il furgone continuo il suo viaggio nella notte, portandoli lontano da Pau Seco.
Scivolo nel sonno, conscio del calore e del peso del corpo di Teresa contro il suo, mentre il furgone proseguiva in direzione dell’alba. Di tanto in tanto l’autista lanciava un’occhiata alle sue spalle, senza parlare ma con espressione perplessa, come se stesse cercando di ricavare un senso dall’aspetto di quel nuovo, misterioso carico. Alla fine, quando le luci che filtravano dalla cabina lo svegliarono, Keller abbozzo un sorriso.
— Grazie del passaggio — disse con la voce ancora impastata di sonno.
Il conducente scrollo la testa.
—
Molto graziosa, penso Keller senza malizia.
— Vostra ragazza? Vostra moglie?
— No. — Decisamente no. Ma strinse le braccia attorno a lei in un gesto protettivo, e Teresa si mosse nel sonno.
— Vostra ragazza — ripete l’autista, convinto, e torno a volgere la sua attenzione alla strada.
E Keller riconobbe, in un attimo di introspezione penetrante come un raggio di sole, che l’uomo aveva ragione, che si stava innamorando di lei. E che magari era gia successo.
Il che lo metteva in una brutta posizione.
Eppure… Rimase seduto sul pianale traballante del furgone, con il corpo di Teresa appoggiato contro di se, e penso che la desiderava piu di quanto avesse desiderato qualsiasi altra cosa da anni. Il desiderio stesso era una cosa nuova, che gli si alzava dentro come un’onda di marea. Una parte di lui accettava la cosa con gioia, felice che l’antica tundra minacciasse di sgelarsi. Un’altra parte ne temeva i rischi. Allontanarsi troppo dal Palazzo del Ghiaccio lo avrebbe messo a nudo e reso vulnerabile. Fuori, potevano attenderlo molti pericoli.
I vecchi dolori. I ricordi. Le cose gia viste.
Eppure…
— Ecco — disse all’improvviso l’autista. Il furgone rallento e Keller ando a sbattere contro la paratia. Teresa si riscosse con un gemito. —
Rimasero di nuovo soli, strizzando gli occhi per la troppa luce, in un’arida citta posta all’incrocio di molte strade che si chiamava Sinop.
Avevano carte di credito e banconote brasiliane. Quanto bastava, disse Byron, per farli uscire dal paese. Per il momento dovevano trovare una stanza. Poi, l’indomani, avrebbero seguito l’autostrada orientale fino a Barreira, o magari Campo Alegre. Lui aveva delle conoscenze a Belem. Con il loro aiuto avrebbero potuto trovare una combinazione per lasciare il Brasile in aereo.
Affittarono una stanza a buon mercato prima che scendesse la sera. Byron si avvio alla porta con un pugno di monete in mano. Voleva fare alcune telefonate, spiego, ma non da li. Magari si sarebbe anche ubriacato. Guardo Keller, poi Teresa. Si, si sarebbe ubriacato senz’altro.
La porta si richiuse dietro di lui come un sospiro.
Teresa tiro le tende e spense la luce. Ora la stanza era buia come una caverna, e il rumore del traffico proveniente dalla strada principale risultava ingigantito dall’oscurita. Lei si arrampico sul materasso a molle di tipo economico su cui Keller si era gia sdraiato e si rannicchio contro di lui. Indossava ancora i vestiti che si era messa a Pau Seco, impregnati dell’odore del carburante del furgone e di quello piu pungente del sudore. Dopo un attimo Keller si rese conto che stava tremando.
— Hai paura? — le chiese.
Teresa si giro e annui contro il suo petto. — Siamo nei guai, vero? Non ci vuole molto a capirlo. Siamo nei guai.
Aveva ragione, naturalmente. Wexler le aveva promesso un viaggio facile, una specie di vacanza. Ma la grossa presenza militare a Pau Seco e la paura tangibile negli occhi di Meirelles avevano dimostrato che l’impresa era andata ben oltre la progettata gita di piacere. Qualcuno aveva cominciato a interessarsi a loro. L’Organizzazione federale, si disse Keller. Forse, nell’istituto di Wexler a Carmel c’era una talpa. Oppure lo stesso Wexler era un informatore, o magari aveva confessato durante un interrogatorio. Non aveva importanza. Restava il fatto che c’era qualcuno interessato a loro. Qualcuno molto potente.
Dal momento che non trovava niente di rassicurante da dirle, Keller cerco di tranquillizzarla accarezzandola.
— Tu sei un Angelo — disse lei, con aria assonnata.
Lui annui nel buio.
— Viene registrato tutto nella memoria?
— Tutto quello che vedo e sento.
— Anche questo?
— Anche questo — ammise lui.
— Chi lo vede?
— Forse nessuno.
— Chi lo trasforma in video?
— Io — rispose Keller. — Decodifico la memoria ed eseguo il montaggio negli studi della Rete.
— Decodificherai anche questo?
Intendeva la conversazione, forse. Oppure quello che stava cominciando a nascere tra di loro. Keller esito. — No — rispose infine.
Lei traccio i contorni del suo cranio con le dita. — Hai dei fili qui dentro.
Lui annui.
— Dicono che possono provocare disturbi.
— E vero.
— A te ne danno?
— A volte. E difficile spiegarlo. La memoria gioca brutti scherzi. — Ray rimase con gli occhi fissi nel buio. — Prima che mi istallassero l’impianto, quando ero ancora nell’ospedale militare di Santarem, ho rubato un testo dalla biblioteca medica. Elencava una serie di effetti collaterali, di disturbi che potevano verificarsi se qualcosa andava storto. Cecita, amnesia, perdita delle emozioni…
— Emozioni?
— Si. — Lui sorrise, pur sapendo che Teresa non poteva vederlo nel buio. — L’amore, l’odio.
— Ti succede questo?
— Non lo so. — La domanda lo fece sentire a disagio. — A volte me lo chiedo anch’io.
Non c’era modo di spiegarle che cosa intendesse in realta. Non c’era modo di condensare l’esperienza in poche parole. Keller era emerso dall’ospedale militare per affacciarsi in un mondo pieno d’incertezze. I fili non avevano invaso solo il cervello, ma tutta la sua essenza. Ogni percezione diventava sospetta, ogni emozione era un potenziale sintomo. E cosi che si impara, penso. Praticando il
Avrebbe voluto spiegare che si trattava di una strana combinazione di chiarezza e confusione. Come quelle notti in cui la nebbia e cosi fitta che viene il dubbio di essere ciechi, e invece i suoni giungono da distanze incredibili con sorprendente nitidezza. Magari non riesci a vederti i piedi, ma la sirena di una nave in porto ti arriva con fragore e tonalita assolutamente intatte. Allo stesso modo, Keller era in grado di registrare il distante scampanellio degli eventi, sia economici che politici. Eseguiva quel compito con grande maestria. Ma la nebbia nascondeva l’amore. E anche l’odio.
— Dev’essere una sensazione strana. — Teresa sembrava piu calma, mentre scivolava nel sonno, stretta contro di lui.
— Gia, piuttosto strana. — Ma non fu certo che lei avesse sentito. Il suo respiro divenne piu profondo, mentre lei si abbandonava tra le sue braccia. — Molto strana — ripete Ray, rivolgendosi alla stanza buia e silenziosa.
Raggiunsero in autobus la provincia settentrionale del Para e si fermarono una notte a Campo Alegre, sul fiume Araguaia. Era una vecchia citta, con un’economia basata principalmente sull’allevamento del bestiame, organizzata in cooperative. La loro sistemazione era primitiva e il puzzo del macello poco lontano ricordava a Keller la prima impressione che aveva avuto da Cuiaba. Si fermarono in un vecchio albergo del ventesimo secolo, frequentato da tetri agenti di commercio che si occupavano dell’esportazione della carne. Sbalordirono l’addetto alla ricezione pagando in contanti. Male, disse Byron, il contante dava nell’occhio. Ma finche non riuscivano a procurarsi qualche carta di credito al mercato nero, non potevano fare altrimenti.
Teresa compero qualche indumento piu consono alla foggia locale e una borsa nella quale nascondere la pietra esotica. Ray aveva osservato il modo in cui se la portava dietro, con cura esagerata e l’evidente desiderio di usarla al piu presto. Un desiderio appena smorzato dalla paura. Cio che Teresa chiedeva alla pietra, aveva capito, era un aiuto per ritrovare la memoria. Gli sembrava pericolosa e ingenua l’idea che la memoria fosse in grado di dare un nuovo significato alla sua vita, come se fosse stata un tesoro sepolto.
Lui sapeva tutto sulla memoria. Ed era sicuro che non fosse affatto un tesoro. Anzi, il vero tesoro era l’oblio. Ma dov’era la pietra, la droga, la pillola o la polvere che poteva operare una cosi grande magia?
Teresa si ritiro nel minuscolo stanzino per la doccia e lascio Byron e Keller da soli in camera. Fino a quel momento Byron era rimasto alla finestra, con gli occhi fissi sulle acque gonfie dell’Araguaia. Adesso, mentre lo scroscio costante dell’acqua riempiva il silenzio della stanza, si volse all’improvviso verso Keller.
— So che cosa sta succedendo — dichiaro.
L’altro lo fisso senza parlare.
— Non e certo un segreto — continuo Byron. — Cristo, Ray. Non sono cieco. E nemmeno sordo. — Raddrizzo le spalle, e quel gesto di grande dignita tradi tutto il suo dolore. — Non e difficile capire. E non e detto che io disapprovi. Se lei e felice, per me va bene. Se tu non la stai usando, intendo dire. Il punto e questo: non voglio che tu le faccia del male.
— Ascolta, io… — incomincio a dire Keller.