Come clandestino non aveva diritti e viveva costantemente sotto la minaccia di un arresto, eppure fu in grado di assicurarsi una serie di lavori nel campo del commercio del legname che lo portarono sempre piu vicino alla frontiera e in seguito fino a Pau Seco. La miniera degli oneiroliti colpi la sua immaginazione. Lo affascinavano le grandi possibilita che offriva, la stranezza dei ritrovamenti, il selvaggio contrasto tra poverta e fortuna. Se aveva un compito da svolgere nella vita, penso, sicuramente lo avrebbe trovato li.

Bene. Era stata un’intuizione infelice. A meno che, naturalmente, non fosse proprio quello il suo compito. Svolgere senza volere la funzione di vittima e martire. Restare appeso a una forca, come monito, nella collina che dominava la citta vecchia.

In ogni caso, non aveva nulla da rimproverare a se stesso o agli americani. Gli era stata offerta una strabiliante somma di denaro, che lui aveva anche posseduto, per un brevissimo periodo. Considerata la posizione in cui si trovava, sembrava banale dirlo, ma erano solo le riflessioni di un condannato a morte: quel denaro avrebbe potuto permettergli di cambiare vita e se fosse ritornato indietro avrebbe preso le stesse decisioni. Aveva puntato e perduto.

Un errore di calcolo, dunque. Tutto li?

No. C’era dell’altro.

Negli anni successivi alla guerra aveva maturato un profondo disgusto per gli uomini che controllavano Pau Seco, per Andreazza con i suoi brutali soldati e per i garimpeiros come Claudio che sfruttavano i loro operai. E nel breve periodo in cui l’aveva frequentata aveva scoperto di provare una cauta simpatia per la donna americana, Teresa, che era cosi straordinariamente sincera da sembrare quasi la rappresentante di un altro universo. Era una sensazione primitiva come la paura, ma quasi altrettanto forte. E forse anche questa l’aveva spinto a deludere le aspettative dei suoi torturatori. Aveva imparato a odiarli.

Con Oberg la questione era diversa. Lui odiava gia quell’uomo. Continuava a odiarlo da anni.

Ng avvertiva la pressione dello sguardo di Oberg, mentre veniva spinto rudemente nella stanza degli interrogatori. All’interno c’erano due guardie di pace in uniforme grigia e il maggiore Andreazza. La tensione tra Ng e Oberg divampo subito, palese e immediata.

Ma io ho un vantaggio, penso il vietnamita. Lui non sa chi sono io. Mentre io so tutto di lui.

Le guardie lo fecero sedere su una sedia di legno dallo schienale dolorosamente dritto. Ng gemette e quasi svenne per il dolore. Quella mattina aveva orinato sangue, e cominciava a temere che le ferite fossero piu serie di quel che pensava.

Forse quella gente l’aveva gia ucciso. Magari stava soltanto aspettando di morire.

Respiro a fondo, tra i denti, finche il cuore parve quietarsi e la testa accetto di sollevarsi. Qualcosa di nero gli oscuro la vista. Guardo Oberg e gli sembro di vederlo in piedi alla fine di un tunnel, estraneo e lontano.

Oberg comincio a parlare.

Disse molte cose prevedibili. Affermo di conoscere gli accordi che Ng aveva preso con Cruz Wexler e il complotto per rubare l’oneirolita. I testimoni, dichiaro, avevano confermato che lo scambio era avvenuto in un bar della citta vecchia. Sapeva che gli americani avevano lasciato Pau Seco e voleva che Ng gli dicesse come avevano fatto ad eclissarsi e dove erano diretti.

Pronuncio tutto il discorso con una voce contenuta e suadente che Ng paragono al rumore delle pompe idrauliche della miniera. Chiuse gli occhi e immagino che lo stesso Oberg fosse una macchina, un ammasso fischiante di tubi e di leve, di filo spinato e di vapori bollenti. Una macchina fornita di ganasce, penso. Ganasce di ferro e occhi fotoelettrici.

Una guardia lo colpi con il fucile per fargli aprire gli occhi.

Oberg era piu vicino, adesso. Scrutava la sua faccia. Era cosi vicino che Ng sentiva il suo fiato caldo e profumato di menta. Capi di colpo, esaminando l’uomo con freddezza come se l’avesse guardato non da quella sedia ma da un altro posto piu alto e pulito. Capi di colpo che Oberg era una menzogna. Il suo colletto inamidato era una menzogna. La tensione trattenuta a fatica e il lieve fremito all’angolo della bocca tradivano una moltitudine di menzogne. Oberg era una menzogna fatta di carne.

— Non ti faro del male — disse l’americano con calma. — Mi capisci? Non sono qui per farti del male.

E questa era una menzogna che si aggiungeva alle altre.

— Ti conosco — bisbiglio Ng.

— Mi dispiace — disse Oberg. — Non riesco a sentirti.

— Ti conosco.

L’altro si acciglio.

Ng parlo a dispetto di se stesso. Un fiume di verita nel vuoto delle menzogne di Oberg. — So chi sei. — Chiuse gli occhi e spero che la guardia non lo colpisse di nuovo. — Marciavamo attraverso il Rio Branco — continuo senza riprendere fiato. — Nei villaggi a ovest di Rio Branco. Era la primavera dell’87, poco dopo l’offensiva di aprile. Tu eri famoso. Lo sapevi? Tra i vietnamiti eri molto noto.

Oberg reagi. Afferro i lunghi capelli di Ng e gli rovescio indietro la testa contro il bordo dello schienale, per farlo tacere. Ma l’omino continuava a parlare, come avesse perso il controllo di se stesso.

— Ci macchiammo di azioni terribili. Uccidemmo molta gente. Posseiros. Per la maggior parte soldati. Uomini cenciosi, ma almeno erano armati. Cosi era meno facile sentirsi in colpa. Eravamo macchine, capisci? Macchine per uccidere, ma riuscivamo ancora a provare dei sensi di colpa. Molti di noi, almeno.

Oberg gli fece scricchiolare il collo contro la spalliera e lui ebbe paura di svenire. Il che lo rese infelice, perche si stava in un certo senso godendo l’unica vendetta che gli era rimasta. Fu Andreazza a intervenire, con il suo inglese curato. — Non vogliamo che muoia subito, signor Oberg — disse. E l’americano fu costretto a mollare leggermente la presa.

Ng apri gli occhi, li fisso in quelli di Oberg e capi che l’americano lo odiava per cio che sapeva. — Marciavamo attraverso il Rio Branco — continuo — per eliminare i focolai di guerriglia superstiti, dopo il tuo passaggio. Ma tu avevi lasciato tracce ben peggiori. — Il ricordo era vivido e Ng, ormai perso in quel viaggio a ritroso, divenne piu solenne. — C’erano corpi dappertutto. Corpi di donne e di bambini. Ci nausearono. Era incredibile, che nauseassero persino noi. Pero, in qualche modo, ci fecero sentire meglio. Noi eravamo macchine, ma non mostri. Fosti tu a dimostrarcelo. Tu eri la nostra consolazione. Qualunque cosa fossimo diventati, c’era qualcuno che era peggio di noi. — Guardo l’americano e, dal profondo della sedia, sorrise. — Tu ci hai fatto sentire di nuovo esseri umani.

Oberg bisbiglio qualcosa tra i denti, parole incomprensibili. Ng avverti una breve, nitida ondata di felicita. Era la sua rivincita. — Se ne sono andati ormai da parecchio tempo — disse, riferendosi ai tre americani. Senti svanire parte della sua lucidita, ma ormai non aveva piu importanza. Aveva detto tutto cio che voleva dire. — Non li troverai. E troppo tardi per trovarli.

Chiuse gli occhi e respiro a fondo, cercando di ignorare il dolore.

Oberg si giro verso Andreazza. — Uccidetelo — comando a denti stretti. — Uccidete questo figlio di puttana dagli occhi a mandorla.

— C’e tempo — rispose Andreazza.

La sera prima di lasciare Pau Seco, Oberg raggiunse a piedi la collina che dominava la citta vecchia, dove Ng era stato appeso a una forca come monito per le formigas.

C’era vento e il cielo era coperto di nubi. Il corpo di Ng girava su se stesso, appeso al proprio perno di corda. La morte lo aveva reso gonfio e Oberg riconosceva a stento in quella carcassa deforme l’uomo che gli aveva tenuto testa nella stanza degli interrogatori. Si lascio sfuggire un mormorio di soddisfazione, un brivido di trionfo.

Il vietnamita aveva tenuto duro altri tre giorni, prima di confessare. E la confessione che aveva reso era risultata del tutto inutile. Oberg aveva saputo il nome della formiga che aveva fornito la pietra, Morelles o Meirelles, ma costui si era volatizzato insieme al denaro e ormai si trovava al sicuro in chissa quale quartiere industriale. Impossibile rintracciarlo. Raymond Keller, Byron Ostler e la donna di nome Teresa Rafael erano arrivati a Sinop su un furgone dell’eletronorte, cosi aveva affermato Ng. Dopodiche erano scomparsi. In direzione est, sospettava Oberg. Ma non c’era modo di confermare quei sospetti, a meno che loro non cedessero alla tentazione di usare le carte di credito per pagare chi li avesse aiutati a uscire dal paese.

Fino a quel momento, l’unico mezzo per trovarli era l’inseguimento. Bisognava partire da Sinop e seguire le loro tracce, dovunque portassero. Un compito noioso e poco gratificante, ma Oberg non era tipo da lasciarsi spaventare.

La collina desolata, con il suo carico di morte, lo fece sentire a disagio. Guardo la faccia insolente di Ng e fu di colpo assalito dalla paura che quegli occhi potessero aprirsi di nuovo e che quella bocca ricominciasse a parlare; che Ng si liberasse con un salto per sputargli addosso, qualche nuova odiosa accusa.

Era assurdo, naturalmente. I morti non dicono cio che sanno. Doveva averlo detto qualcuno. Qualcuno che non gli importava ricordare.

Il cadavere continuava a muoversi, nel mare di vento proveniente dal Mato Grosso. Oberg rabbrividi e volse la schiena. Era disgustoso, penso. Primitivo e incivile. Avrebbero dovuto seppellire i morti. Se non altro, per un minimo di decenza.

13

Keller si reco con Byron in un caffe sul porto del Rio delle Amazzoni, dove secondo gli accordi avrebbero dovuto incontrare un americano che poteva aiutarli a lasciare il Brasile.

Il Rio delle Amazzoni era cosi vasto da assomigliare al mare. L’acqua era gonfia e marrone; le navi ancorate parevano adatte ad attraversare anche l’oceano. Keller ordino un tucupi e osservo un motopeschereccio israeliano staccarsi dall’orizzonte, con i radar e i pannelli solari stagliati contro il bordo del cielo. L’uomo atteso da Byron arrivo poco prima che il motopeschereccio arrivasse in porto. Era un veterano con i capelli tagliati a spazzola e un paio di occhi luminosi, quasi febbricitanti. Strinse la mano a Keller ma si ritiro di colpo quando Byron lo presento con il suo nome, Denny.

— Credevo che fosse un colloquio strettamente riservato — osservo.

Byron guardo Keller. Keller annui, mise sul tavolo i soldi per il tucupi e ando a fare una passeggiata lungo la strada del porto.

Si fermo ad osservare alcuni stivatori brasiliani che scaricavano un peschereccio. Sulla fiancata dell’imbarcazione spiccava il nome dipinto a lettere bianche, Esperance. Speranza, penso Keller. Un bene di cui erano un po’ a corto, ultimamente. Teresa aveva preferito restare in albergo, con la scusa che aveva bisogno di stare un po’ da sola. Lui continuava a chiedersi se aveva fatto bene a lasciarla.

Teresa era tentata dalla pietra. Si trovavano a Belem ormai da una settimana, e Ray aveva osservato il nervoso balletto di attrazione e paura che lei aveva danzato attorno all’oneirolita. Naturalmente sarebbe stato meglio lasciarlo perdere finche non avessero raggiunto un posto piu sicuro. Ma Teresa se ne sentiva attratta, e non lo nascondeva. Desiderio e paura. Paura ed esperance.

Inoltre, era preoccupato per il tempo che stavano perdendo in quella citta. Erano in fuga, anche se era facile dimenticarsene o ignorarlo. Piu a lungo rimanevano fermi nello stesso posto e piu diventavano localizzabili. E, peggio ancora, le loro prospettive non erano affatto rosee. Byron aveva gia tentato due volte di assicurarsi un passaggio aereo clandestino in uscita dal Brasile. Entrambe le volte l’accordo era saltato. Denny era l’ultima speranza, un amico di un amico, probabilmente a sua volta un contrabbandiere; ma questo a Belem non era un demerito. La citta e il porto brulicavano di stranieri e di gente di passaggio, e Keller si consolo pensando che non era un male, considerata la situazione. Li, in ogni caso, tre americani indigenti potevano anche non dare nell’occhio.

Ma, era pur conscio delle forze che erano state scatenate contro di loro, ed era ormai abbastanza lontano dalla pratica del wu-nien per preoccuparsi soprattutto di Teresa.

Guardo il caffe e scorse Byron che gli faceva cenno di tornare. Denny se n’era andato. La trattativa era stata breve.

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