incoraggiamenti. Le pareti che dividevano le due stanze erano abbastanza sottili da non lasciare dubbi su quello che succedeva di notte nel loro letto. Sesso, pensava la bambina, un crescendo di grugniti e di gemiti. Indescrivibile. Quando succedeva, lei nascondeva la faccia e si copriva le orecchie. Al mattino Carlos la guardava sogghignando e bisbigliava: — Come hai dormito, piccola? C’era troppo baccano per i tuoi gusti? — E rideva di quella risata terribile e segreta che nasceva nel fondo della gola.

Un giorno, mentre Carlos era al lavoro, la bambina trovo il coraggio di chiedere alla madre perche gli avesse permesso di trasferirsi da loro. Il tono di rimprovero nella sua voce era evidente, tanto che la madre la schiaffeggio. Lei spalanco la bocca e alzo una mano per tastarsi la faccia. Aveva la guancia in fiamme.

Sua madre arrossi. — Non siamo nella posizione di scegliere — dichiaro, quasi con rabbia. — Guardami! Sono giovane? Sono graziosa? Guardami! Sono forse ricca?

La bambina si rese conto per la prima volta che lei non possedeva nessuna di quelle qualita.

— Lui porta del denaro. Forse tu non sai che cosa vuol dire. Non guardi nel piatto quando mangi, e invece dovresti farlo. C’e dentro della carne. Carne, capisci? E verdura fresca. Hai dei vestiti. Non soffri la fame.

Dunque siamo povere, penso la bambina. Carlos era la maledizione della loro poverta.

Le nuove scoperte la disorientarono, spaventandola.

Eppure avrebbe potuto ancora adattarsi. Ma proprio allora l’atteggiamento di Carlos comincio a cambiare. Per quanto fosse gia sgradevole, divento addirittura peggiore. L’abuso di alcolici s’intensifico. La madre confido alla bambina che l’uomo non andava d’accordo con il caposquadra e iniziava ad avere problemi sul lavoro. Certe notti, i grugniti e i gemiti nella stanza accanto si concludevano con una serie di imprecazioni soffocate. Le mattine successive Carlos faceva colazione con espressione torva, senza scherzare. Le occasionali effusioni rivolte a sua madre divennero sempre piu aggressive. Carlos la trattava con cosi scarsa delicatezza da sembrare un orso. E assomiglio sempre di piu, con il passare del tempo, a un grosso e rabbioso animale chiuso in gabbia. Purtroppo, la gabbia era estremamente fragile. Le sue sbarre potevano saltare da un momento all’altro. Lei non voleva pensarci.

Carlos comincio a toccarla piu spesso.

All’inizio, lei accetto la cosa nello stesso modo in cui l’accettava sua madre, con rassegnazione. Sentiva lo sguardo di sua madre su di se, quando Carlos la prendeva sulle ginocchia per accarezzarla. Lui aveva delle mani enormi, simili ad animali senza pelo, o a delle talpe. Si muovevano a caso, secondo il proprio capriccio. La toccavano e l’accarezzavano. Generalmente, dopo che lei aveva sopportato per un po’, l’uomo si alzava di colpo, la guardava con rabbia come se avesse fatto qualcosa di male, e poi portava sua madre nell’altra stanza.

Sua madre se ne scuso, un giorno. Erano sole. La baracca galleggiante ondeggiava dolcemente, la pioggia batteva contro il tetto e le pompe di sentina brontolavano sotto il pavimento. — Mi dispiace — disse sua madre. — Non mi aspettavo che succedesse…

La bambina senti crescere in lei un’ondata di collera, immensa e inaspettata. — Allora fallo andare via! — Rimase stupita delle sue stesse lacrime. — Digli di andarsene!

Sua madre l’abbraccio e cerco di confortarla. — Non e cosi facile. Vorrei che lo fosse. Mi dispiace, davvero. E difficile stare da soli, anche se tu non lo capisci. E stato molto difficile per me. Pensavo che lui ci avrebbe aiutate. Ne ero convinta. — Le accarezzo i capelli. — Pensavo che ci avrebbe voluto bene.

Quella sera, quando Carlos comincio a toccarla, sua madre le disse di andare nella sua camera. Attraverso la porta lei udi le voci dei due adulti alzarsi di tono. Si senti il rumore di una zuffa e infine la porta sbatte forte. Lei attese in silenzio, ma non udi nessun altro rumore. Aveva paura di andare a vedere. Alla fine si addormento, tremando nel sonno.

Il mattino dopo Carlos la guardo con aria minacciosa e lascio la baracca senza parlare. Sua madre aveva un grosso livido sulla guancia. Ogni tanto se lo toccava, quasi con meraviglia, come se fosse spuntato per magia. La sua faccia, con l’aggiunta del livido, sembrava terribilmente invecchiata. La bambina la guardo con aria sconcertata. Da quanto tempo sua madre aveva tutte quelle rughe attorno agli occhi? Da quanto tempo la sua pelle era diventata crespa e avvizzita sotto la gola?

Adesso era lei a sentire il dovere di scusarsi. Ma la stanza era appesantita da un silenzio greve e lei non sapeva bene come cominciare. Fu un disastro, fin dalla prima parola.

— Mama, mi dispiace…

— Ti dispiace! — Sua madre si volto verso di lei. Alcune gocce di grasso schizzarono dai fornelli e macchiarono sfrigolando il pavimento. — Ti dispiace! Mio Dio! Se non fosse stato per te…

Si porto la mano alla bocca, ma ormai era troppo tardi. La frase le era sfuggita e la bambina la tenne bene a mente. Le parole erano come carboni ardenti: non si poteva toccarli, eppure destavano un grande interesse. Lei ne rimase al tempo stesso colpita e curiosamente compiaciuta. Compiaciuta, perche finalmente cominciava a capire qualcosa. Era cosi semplice! Ora tutto si spiegava. Si spiegavano le occhiate strane che Carlos le aveva rivolto, e anche il livido sulla guancia di sua madre. Lei ne era la causa. Si trovava al centro della tempesta. Lei aveva tentato Carlos in qualche modo, lo aveva sedotto senza volerlo. Di certo non lo aveva programmato. Eppure lo aveva tentato, e Carlos aveva sfogato la propria rabbia e la propria frustrazione nell’unico modo che conosceva, prendendosela con sua madre. A letto. E a pugni.

La bambina si disse che quella era una riflessione ormai adulta, di cui doveva essere orgogliosa. Non era piu una bambina.

Capi anche che non era poi cosi brava, dopotutto.

Byron si chino verso il monitor del telefono, assorto. Keller non riusciva a staccare gli occhi da Teresa. Non l’aveva mai vista cosi. I suoi occhi si muovevano incessantemente sotto le palpebre chiuse e le lacrime le rigavano le guance.

Era sconvolgente. Doveva fare qualcosa. Non poteva lasciare che le succedesse una cosa simile.

Se qualcuno e in pericolo bisogna aiutarlo, penso sopraffatto dall’angoscia. Lo aveva imparato. Molto tempo prima.

Byron distolse l’attenzione dal telefono e si giro. — Non farlo, Ray…

Ma Keller aveva gia steso le mani verso di lei.

L’incendio ebbe origine in un deposito di carburante vicino alla parete della diga.

In seguito, la gente disse che era stato inevitabile. La Citta Galleggiante era dotata solo delle strutture pubbliche piu elementari. Non esistevano piani regolatori, ne regolamenti edilizi, ne commissioni di sicurezza. Era una citta di legno e cartone. In alcuni punti, il carburante fuoriuscito aveva coperto completamente l’acqua tra le fabbriche e le barche da abitazione. L’incendio comincio come un banale incidente industriale causato da una torcia all’acetilene. In breve, divenne qualcosa di terrificante.

Quel giorno, la bambina si trovava a casa. Carlos era al lavoro e sua madre riparava l’intonaco della cucina. C’era il sole. Lei sali sul tetto in lamiera della baracca e rimase sorpresa nel vedere un pennacchio di fumo spuntare a nord, dalle parti della diga, che insudiciava la cupola azzurra del cielo. Il pennacchio sembrava perfettamente verticale; in realta, il vento lo spingeva esattamente nella sua direzione.

Lei ne rimase affascinata.

Resto a guardarlo per un po’, canticchiando piano, accarezzata dai raggi del sole. Il pennacchio di fumo a poco a poco si allargo e divenne quasi un muro, un’accozzaglia di nuvole che oscurarono il cielo. Mettendosi in punta di piedi, a lei parve di vedere addirittura le fiamme, ancora molto lontane, che si alzavano dalle baracche galleggianti parecchi chilometri piu in la.

Poco prima di mezzogiorno comincio a cadere una sottile pioggia di cenere.

Sua madre la chiamo, e dato che lei non rispondeva, sali la scala che portava al tetto. — Santo cielo, tesoro! Pensavo che ti fossi persa. Pensavo…

— Guarda — la interruppe lei. — Un incendio.

Sua madre rimase immobile per un attimo, con il grembiule macchiato mosso dal vento, che nel frattempo era diventato sempre piu forte e secco. Poi si fece il segno della croce in silenzio e strinse la mano bruna sul braccio della figlia. Quando parlo, la sua voce era priva di espressione. — Vieni ad aiutarmi.

Mentre scendevano, un elicottero della Citta di Los Angeles passo con fragore sopra la loro testa, dirigendosi verso il fuoco. Viro e rimase sospeso nel cielo per qualche secondo.

La bambina avverti il primo brivido di paura.

Sua madre borbottava qualcosa tra se. Comincio a muoversi a grandi passi sulle mattonelle sbrecciate, accatastando di tutto su un lenzuolo, al centro della stanza. Vestiti, documenti della previdenza sociale, cibo in scatola. Sbalordita, la bambina guardo fuori dall’unica finestra. Sui ponti mobili si erano formati capannelli di persone che fissavano con grande apprensione il manto di fumo nero che oscurava ormai completamente il cielo.

Sua madre la tiro via. — Non possiamo piu aspettare. — Aveva la voce rotta e si guardava intorno con grande nervosismo. La bambina capi, ed era un’altra intuizione da adulta, che sua madre doveva aver avuto la stessa espressione da animale spaventato al momento di attraversare il confine messicano.

— Lo aspetterei, capisci? Carlos. Ma non c’e piu tempo.

Raccolse le quattro cocche del lenzuolo chiudendovi dentro i loro miseri averi e trasporto il fagotto fino alla piccola motolancia ancorata sotto casa. Era poco piu di una canoa, con un solo motore avvitato a poppa, e rollo sotto il peso imprevisto. La baracca si affacciava su uno degli affluenti minori di un canale piu grande, ma le sue acque di solito tranquille erano gia affollate di barche. In alcune, la gente piangeva. La bambina si chiese che cosa fosse quella nuova catastrofe che stava sconvolgendo la sua vita. La cenere volteggiava attorno a lei come neve.

Sua madre la condusse ancora una volta all’interno della baracca. — Guardati attorno — le disse. — Prendi tutto cio che ti interessa e che puoi trasportare. Fai presto! Poi aiutami a prendere il resto del cibo.

La bambina scelse la vecchia bambola del mercato delle pulci, il primo giocattolo che avesse mai posseduto. Ormai non le era piu tanto affezionata, ma le sembro la cosa piu giusta da prendere, in un momento simile. Se la mise sottobraccio, soddisfatta.

Fu allora che Carlos torno a casa.

Spalanco la porta con una stridula risata da ubriaco. La bambina si nascose d’istinto tra la porta della cucina e la parete. L’odore dell’intonaco fresco le riempi le narici. Chiuse gli occhi e si copri le orecchie.

Udi tutto comunque.

Carlos aveva lasciato il lavoro molto presto. L’intero turno della mattina era stato soppresso a causa dell’incendio. Dapprima avevano pensato tutti che fosse una sciocchezza, erano andati al bar vicino al margine della darsena e avevano cominciato a bere. Ma l’incendio si era propagato attaccando uno dopo l’altro tutti gli edifici industriali e alla fine fu chiaro che era successo e stava per succedere qualcosa di terribile. A uno a uno gli uomini si erano uniti alla folla che cercava di salvarsi spingendosi a sud. Carlos si era aperto la strada con la bottiglia tra le mani. La bottiglia c’era ancora, ma ormai completamente vuota.

Era ubriaco fradicio e spaventato a morte. La madre della bambina cerco di calmarlo, ma dalla sua voce trapelava una grande paura e Carlos probabilmente se ne accorse. — Andiamocene — suggeri lei. — Possiamo seguire i canali fino alla terraferma. C’e ancora tempo, vedrai.

— I canali sono pieni di gente — replico Carlos. — Le barche non riescono a muoversi. Vuoi bruciare in mezzo a loro, dannazione?

— Allora possiamo andare a piedi…

— A piedi! Hai dato un’occhiata la fuori? — Carlos agitava la bottiglia senza tregua. — Il fuoco e troppo veloce. Non possiamo fare niente… niente!

Probabilmente aveva ragione, penso la bambina sentendosi girare la testa. Udiva le grida provenienti dai ponti mobili a poca distanza da loro.

— E allora perche sei tornato qui? — chiese sua madre. — Perche torturarci ancora? — Nella sua voce la paura si mescolava al risentimento. — Vai al diavolo! Io me ne vado! Noi ce ne andiamo!

Ma Carlos urlo che sarebbero morti insieme, perche erano una famiglia e perche lui aveva paura di morire da solo. Poi cominciarono a lottare. La bambina rimase in ascolto, paralizzata dal terrore. Si udi il rumore sordo e terribile dei pugni che affondavano nella carne. Lei non riusci a trattenersi, e usci da dietro la porta.

Sua madre gridava, con la faccia contusa e tumefatta. Carlos l’aveva spinta contro il tavolo della cucina e le aveva scoperto le cosce. L’incendio era ormai vicinissimo, e lui non trovava di meglio da fare che violentarla. La bambina si senti accecare dall’ira e per un attimo dimentico le sue paure. — Smettila! — grido.

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