— Puo darsi. — Poi il sorriso che increspava le labbra di Trevize svani. — E strano, Bliss… Non so perche, ma questo posto ha qualcosa che non mi convince.
Pelorat disse: — Vieni, Bliss. E da una vita che me ne sto rintanato nel mio studio a raccogliere vecchie leggende, e non ho mai toccato con mano un documento antico. Pensa, se riuscissimo a trovare…
Trevize li osservo mentre si allontanavano. La voce di Pelorat si perse, via via che lo studioso si avviava smanioso verso i ruderi; Bliss gli era a fianco.
Trevize ascolto distrattamente, poi si volto e riprese a studiare i dintorni. Cosa poteva causare l’apprensione che avvertiva?
Non aveva mai messo piede su un mondo privo di popolazione umana, ma ne aveva visti parecchi dallo spazio. Di solito, erano mondi piccoli, non sufficientemente grandi da avere acqua od aria, pero erano utili come punto d’incontro durante le manovre navali (non c’erano state guerre nell’arco di vita di Trevize, ne nel secolo precedente la sua nascita… ma le esercitazioni continuavano), o per esercitarsi nelle riparazioni d’emergenza simulate. Le navi su cui si trovava Trevize avevano orbitato attorno a questi mondi, erano addirittura scese su alcuni, pero Trevize non aveva mai avuto occasione di sbarcare.
La sua apprensione derivava dal fatto che adesso si trovasse veramente su un mondo deserto? Avrebbe provato la stessa cosa se si fosse trovato su uno dei tanti planetoidi senz’aria che aveva incontrato in gioventu?
Scosse la testa. Non avrebbe provato alcun disagio, ne era sicuro. Avrebbe indossato una tuta spaziale, come aveva fatto innumerevoli volte uscendo a galleggiare nello spazio. Era una situazione familiare, ed il contatto con un semplice pezzo di roccia lasciava inalterato quel senso di familiarita. Certo!
Naturale… Adesso non indossava una tuta spaziale.
Era su un mondo abitabile, accogliente come Terminus, molto piu accogliente di Comporellen. Sentiva il vento in faccia, il calore del sole sulla schiena, il fruscio della vegetazione nelle orecchie… Tutto familiare… solo che su quel mondo non c’erano esseri umani, per lo meno, non piu.
Era quello il problema? Era per questo che il pianeta sembrava cosi misterioso, inquietante? Perche era un mondo non solo disabitato, ma anche abbandonato?
Non era mai stato su un mondo abbandonato in precedenza; non aveva mai sentito parlare di un mondo abbandonato; non aveva mai pensato che si potesse abbandonare un mondo. Per quel che ne sapesse, tutti i mondi abitati dagli esseri umani erano rimasti abitati per sempre.
Guardo il cielo. Solo l’uomo se n’era andato da li. Di tanto in tanto un uccello gli attraversava il campo visivo, e gli sembrava piu naturale, chissa perche, del cielo grigio-blu che affiorava tra le nuvole sfumate di arancione. (Trevize era certo che trascorrendo qualche giorno sul pianeta si sarebbe abituato a quel colore strano, che dopo un po’ il cielo e le nuvole gli sarebbero sembrati perfettamente normali.)
Si sentivano i richiami degli uccelli tra gli alberi, ed i suoni piu deboli prodotti dagli insetti. Bliss aveva accennato alle farfalle prima, e le farfalle c’erano davvero… numerose e multicolori.
Di tanto in tanto si sentivano anche dei fruscii provenienti dalle macchie erbose attorno agli alberi, ma Trevize non riusci a stabilirne la causa.
Del resto, la presenza evidente di forme di vita nella zona non suscitava in lui alcun timore. Come aveva detto Bliss, i mondi terraformati erano privi fin dall’inizio di animali pericolosi. Le fiabe dell’infanzia, e le fantasticherie eroiche della sua adolescenza, erano invariabilmente ambientate su un mondo leggendario derivato senza dubbio dai miti nebulosi della Terra. Gli olodrammi ipervisivi erano pieni di mostri… leoni, unicorni, draghi, balene, brontosauri, orsi… e decine di altre creature di cui non ricordava il nome, alcune certamente mitiche, forse tutte. C’erano animali piu piccoli che mordevano e pungevano, persino piante che era meglio non toccare… ma solo nel campo dell’immaginario. Una volta aveva sentito dire che le api mellifere primitive potessero pungere, ma sicuramente nessuna ape vera era in qualche modo nociva.
Lentamente, s’incammino verso destra, costeggiando il margine della collina. L’erba era alta ed abbondante, ma cresceva a macchie sparse. Si addentro tra gli alberi, che crescevano anch’essi a gruppi.
Poi sbadiglio. Be’, non stava certo accadendo nulla di eccitante, e Trevize si domando se non fosse il caso di tornare a bordo e fare un sonnellino… No, inammissibile: doveva stare di guardia.
Forse avrebbe potuto comportarsi come una vera sentinella… marciare, uno, due, un due… girarsi di scatto ed eseguire manovre complicate con un’elettrobarra da parata. (Era un’arma in disuso da tre secoli, eppure era ancora essenziale in una esercitazione, senza che nessuno sapesse spiegarne il motivo.)
A quel pensiero, sorrise, poi si chiese se dovesse unirsi a Pelorat e Bliss tra le rovine… No, a che scopo andare la?
E se avesse notato qualcosa che Pelorat si fosse lasciato sfuggire?… Be’, se mai avrebbe dato un’occhiata al ritorno di Pelorat. Se c’era qualcosa di facilmente individuabile, meglio che fosse Pelorat a fare la scoperta, senza dubbio.
E se i due si fossero trovati nei guai? Sciocchezze! Che genere di guai?
Ed in caso di guai, avrebbero chiamato.
Si fermo ad ascoltare. Nulla.
Poi il pensiero irresistibile della sentinella si riaffaccio alla sua mente e Trevize si ritrovo a marciare, battendo i piedi con forza, staccando dalla spalla un’elettrobarra immaginaria, facendola ruotare, tendendola in verticale di fronte a se, facendola ruotare di nuovo e riaccostandola all’altra spalla. Poi, con un rapido dietro-front, torno a voltarsi in direzione della nave (piuttosto lontana, adesso).
E quando si fu girato, si blocco, e sul serio, non imitando i gesti di una sentinella.
Non era piu solo.
Fino a quel momento non aveva visto alcuna creatura vivente sul pianeta, a parte la vegetazione, gli insetti e qualche volatile. Non aveva visto nulla, non aveva sentito avvicinarsi nulla… Pero adesso tra lui e la nave c’era un animale.
La sorpresa per quell’evento inatteso lo privo per un attimo di interpretare quello che stava vedendo. Solo dopo un certo intervallo capi cosa stesse osservando.
Era semplicemente un cane.
Trevize non era un cinofilo, non aveva mai posseduto un cane e non provava alcun sentimento amichevole verso l’animale quando ne incontrava uno. Non lo provo neppure in quel momento. Penso, piuttosto spazientito, che quelle creature avevano seguito l’uomo su tutti i mondi. Ne esistevano innumerevoli razze, e Trevize aveva da tempo l’impressione seccante che ogni pianeta vantasse almeno una razza tipica. Comunque, tutte le razze presentavano un aspetto costante: sia che fossero tenuti per passatempo, sia per ostentazione o per chissa quale mansione utile, i cani erano allevati in modo tale da amare gli esseri umani e fidarsi di loro.
Erano un amore ed una fiducia che Trevize non aveva mai apprezzato. Un tempo aveva vissuto con una donna che aveva un cane. Quel cane, che Trevize sopportava per non contrariare la donna, lo adorava incondizionatamente, lo seguiva, gli si poggiava contro quando si rilassava (con tutti i suoi 25 chili), lo copriva di saliva e di peli nei momenti piu impensati, e si accovacciava fuori dalla porta e guaiva ogni volta che Trevize e la donna cercavano di dedicarsi al sesso.
In seguito a quella esperienza, Trevize aveva concluso di essere, per qualche ragione nota solo alla mente canina ed alla sua capacita analitica olfattiva, un oggetto fisso della devozione di quegli animali.
Quindi, superata la sorpresa iniziale, osservo il cane tranquillamente. Era un cane grosso, scarno, con le zampe lunghe. Lo fissava senza alcun segno evidente di adorazione. Aveva la bocca aperta in quello che avrebbe potuto essere interpretato come un ghigno di benvenuto, ma i denti che si vedevano avevano un che di minaccioso, e Trevize decise che si sarebbe sentito piu a suo agio se quella bestia si fosse allontanata uscendo dal suo campo visivo.
Gli venne in mente, allora, che il cane non aveva mai visto un essere umano, e che innumerevoli generazioni canine passate non ne avessero mai visto uno. Probabilmente quel cane aveva avuto la stessa reazione di stupore e di incertezza di Trevize. E Trevize, almeno, aveva riconosciuto quasi subito il cane per quello che era, mentre il cane non godeva di questo vantaggio: era ancora perplesso, forse allarmato.
Chiaramente, date le dimensioni, e la dentatura, dell’animale, conveniva affrettarsi a dissipare i suoi timori. Trevize si rese conto dell’utilita di instaurare immediatamente un rapporto di amicizia.
Adagio, molto adagio, si avvicino al cane (niente movimenti bruschi, naturalmente). Tese la mano, pronto a lasciarsela fiutare, e cerco di incoraggiare il cane dicendo sottovoce cose del tipo: — Su, bravo cagnetto — e sentendosi piuttosto imbarazzato.