Solo Bliss era in grado di percepire la loro presenza; poi d’un tratto, nella direzione indicata da lei, una figura apparve sulla sommita dell’altura, seguita subito dopo da una seconda ed una terza figura.
— Credo che per il momento non ce ne siano altri — annuncio la ragazza.
Trevize osservo incuriosito. Anche se non aveva mai visto un robot, capi subito che quelli fossero robot. Avevano la forma schematica degli esseri umani, anche se non sembravano propriamente metallici. La loro superficie corporea era opaca e dava un’impressione di morbidezza, quasi fosse rivestita di felpa.
Ma chi gli garantiva che la morbidezza fosse solo un’impressione? Trevize provo il desiderio improvviso di toccare quelle figure che avanzavano imperturbabili. Se quello era davvero un Mondo Proibito, e se era vero che le navi lo evitassero (il che era senza dubbio vero dal momento che il suo sole non figurava nella mappa galattica) allora la “Far Star” e le persone a bordo dovevano rappresentare qualcosa di estraneo all’esperienza dei robot. Eppure stavano sfoggiando la massima sicurezza, quasi si trovassero ad affrontare una situazione di routine.
Sottovoce, Trevize disse: — Puo darsi che qui riusciamo ad ottenere informazioni non disponibili in qualsiasi altro punto della Galassia. Potremmo chiedere di indicarci la posizione della Terra rispetto a questo mondo… e se la conosceranno ce la diranno. Chissa da quanto tempo questi robot sono attivi? Potrebbero addirittura risponderci attingendo dai loro ricordi personali. Pensate!
— D’altro canto — replico Bliss — puo darsi che siano di fabbricazione recente, e che non sappiano nulla.
— O puo darsi che sappiano ma che si rifiutino di rispondere — soggiunse Pelorat.
Trevize disse: — Non credo che possano rifiutarsi di rispondere, a meno di non avere ricevuto ordini precisi di non darci informazioni. E dal momento che nessuno poteva aspettarsi il nostro arrivo, secondo me e impossibile che abbiano ricevuto istruzioni del genere.
A una distanza di circa tre metri, i robot si fermarono. Non dissero nulla, rimasero immobili.
Trevize, la mano sul disintegratore, disse a Bliss, tenendo d’occhio i robot: — Percepisci qualche atteggiamento ostile?
— A parte il fatto che non abbia un minimo di dimestichezza con la loro struttura mentale, non mi sembra di cogliere nulla di ostile — rispose la ragazza.
Trevize stacco la destra dal calcio dell’arma, ma non di molto. Alzo la sinistra, rivolgendo il palmo ai robot, augurandosi che lo interpretassero come un gesto di pace, e parlando lentamente disse: — Vi saluto. Siamo venuti su questo mondo da amici.
Il robot al centro del terzetto piego la testa in una specie di goffo inchino, che ad un ottimista sarebbe potuto apparire come un gesto di pace, quindi rispose.
Trevize resto a bocca aperta per lo stupore. In un universo unito dal Galattico, era inconcepibile che venisse a mancare il sistema di comunicazione fondamentale. Eppure, il robot non si esprimeva in Galattico Standard, ne in alcuna altra lingua che si avvicinasse vagamente a quella universale. Trevize infatti non comprese una sola parola.
5
La sorpresa di Pelorat fu pari a quella dell’amico, pero il suo era stupore misto a piacere.
— Che strano, eh? — osservo.
Trevize gli si rivolse con una certa asprezza nella voce. — Non e strano: direi che sia un farfugliare assurdo.
— Non e affatto un farfugliare assurdo — lo contraddisse Pelorat. — E Galattico, ma molto arcaico. Capisco qualche parola. Probabilmente riuscirei a capire facilmente se le parole fossero scritte: e la pronuncia il vero ostacolo.
— Be’, cos’ha detto?
— Che non ha capito quel che gli hai detto.
Bliss intervenne: — Non so cos’abbia detto, pero avverto della perplessita, che mi pare appropriata. Certo, sempre che possa fidarmi della mia analisi dei sentimenti robotici… ed ammesso che esistano dei sentimenti robotici.
Parlando lentamente, a fatica, Pelorat disse qualcosa, ed i tre robot piegarono la testa contemporaneamente.
— Traduci — disse Trevize.
Pelorat rispose: — Ho detto loro che non so parlare bene questa lingua, ma che faro del mio meglio. Ho chiesto una breve pausa. Santo Cielo, vecchio mio, la faccenda e molto interessante.
— Molto deludente — borbotto Trevize.
— Vedi, ogni mondo abitabile della Galassia elabora una propria varieta di Galattico, cosi esistono migliaia di dialetti che a volte sono praticamente incompatibili ed incomprensibili a vicenda, pero tutti sono unificati dal denominatore comune del Galattico Standard. Se questo mondo e rimasto isolato per ventimila anni, la sua lingua avrebbe dovuto discostarsi dalle altre lingue galattiche fino a trasformarsi in una lingua completamente diversa. Questo mutamento non e avvenuto, e forse la spiegazione e che questo mondo abbia un sistema sociale che dipenda dai robot, robot in grado di capire soltanto la lingua parlata all’epoca della loro programmazione. Non si e avuta una riprogrammazione continua, la lingua e rimasta statica, ed adesso ci troviamo di fronte solo ad una forma molto arcaica di Galattico.
— E un esempio della staticita dannosa e della degenerazione di una societa robotizzata — osservo Trevize.
— Ma, amico mio — protesto Pelorat — il carattere immutabile di una lingua non e necessariamente un segno di degenerazione. Presenta degli aspetti vantaggiosi. I documenti conservano il loro significato per secoli, per millenni; il raggio d’azione e la precisione degli studi storici aumentano. Nel resto della Galassia, la lingua degli editti imperiali dell’epoca di Hari Seldon comincia gia a suonare antiquata.
— E tu conosci questo Galattico arcaico?
— Non si puo dire che lo conosca, Golan. Pero, studiando i vecchi miti e le leggende ho imparato a decifrarlo. Il vocabolario non e poi cosi diverso… cambiano pero le coniugazioni, certe espressioni idiomatiche non vengono piu usate attualmente, e la pronuncia e completamente cambiata. Posso fungere da interprete, ma non aspettarti un interprete in gamba.
Trevize emise un sospiro tremulo. — Sempre meglio che niente. Procedi pure, Janov.
Pelorat si volto verso i robot, attese un attimo, poi torno a rivolgersi a Trevize. — Cosa devo dire?
— Veniamo subito al dunque. Chiedi dove sia la Terra.
Pelorat pronuncio le parole una alla volta, accompagnandole con gesti esagerati delle mani.
I robot si guardarono ed emisero dei suoni. Quello al centro parlo a Pelorat, che rispose allargando le mani come se stesse tirando un pezzo di gomma. Il robot rispose scandendo le parole con la stessa meticolosita dello studioso.
Pelorat disse a Trevize: — Forse non riesco a spiegare di preciso cosa intendo per “Terra”. Ho l’impressione che credano che mi riferisca ad una regione del loro pianeta, e dicono di non sapere dove si trovi questa regione.
— Indicano questo pianeta con un nome, Janov?
— Se non vado errato, mi pare che lo chiamino “Solaria”.
— Mai incontrato questo nome nelle tue leggende?
— No, mai… come non avevo mai sentito parlare di Aurora.
— Be’, chiedi se ci sia un posto chiamato Terra in cielo… tra le stelle — insiste Trevize indicando verso l’alto. — Indicagli il cielo.
Altra breve conversazione, quindi Pelorat si giro e annuncio: — Golan, tutto quello che sono riuscito a farmi dire e che non ci sia alcun posto in cielo.
Bliss intervenne: — Chiedi ai robot quanti anni abbiano, o meglio da quanti anni funzionino.
— Non so come tradurre “funzionare” — fece Pelorat scuotendo la testa. — Anzi forse non sono neppure in grado di tradurre “quanti anni”… No, non sono affatto un buon interprete.
— Fai del tuo meglio, caro — lo sollecito la ragazza.