tanto in tanto si accumulasse all’interno troppo calore corporeo.
— No, assolutamente — rispose Pelorat. — Ma, guarda… — Ed indico col dito, mentre la sua voce giungeva chiara a Trevize via radio.
Nella luce purpurea dell’alba, la facciata cadente di pietra dell’edificio verso cui stavano dirigendosi era coperta di brina.
Trevize disse: — Con un’atmosfera rarefatta, la notte e molto fredda ed il giorno caldissimo. Questa dovrebbe essere la parte piu gelida della giornata, e dovrebbero trascorrere parecchie ore prima che la temperatura salga troppo perche possiamo esporci al sole.
Quasi avesse pronunciato una parola magica, il bordo del sole affioro sopra l’orizzonte.
— Non guardarlo — disse Trevize. — La tua visiera e riflettente e filtra gli ultravioletti, ma sarebbe ugualmente pericoloso.
Volse le spalle al sole, e lascio che la propria ombra si allungasse sull’edificio. Il sole stava gia sciogliendo la brina. Per alcuni istanti, il muro divento scuro, macchiandosi di umidita, poi scomparve anche quella.
Trevize commento: — Gli edifici non sono tanto in buono stato, visti da vicino. Sono pieni di crepe e si stanno sgretolando. E il risultato del cambiamento di temperatura, immagino, e del fatto che delle tracce d’acqua gelino e si sciolgano ogni notte ed ogni giorno, magari da migliaia d’anni.
Pelorat disse: — Ci sono delle lettere incise nella pietra sopra l’ingresso, ma non e facile leggere con tutte quelle incrinature.
— Riesci a capire qualcosa, Janov?
— Dovrebbe trattarsi di una specie di istituto finanziario. Almeno, mi pare di distinguere una parola che potrebbe essere “banca”.
— Sarebbe?
— Un edificio in cui i beni vengono depositati, ritirati, investiti, scambiati, prestati… se non sbaglio.
— Un intero edificio adibito a questo? Senza computer?
— Senza il controllo completo dei computer.
Trevize si strinse nelle spalle. Certi particolari della storia antica non gli interessavano.
Perlustrarono la zona, sempre piu in fretta, soffermandosi in ogni edificio il minimo indispensabile. Il silenzio, l’aria di morte che li circondava, erano deprimenti. Il lento collasso millenario che erano venuti a disturbare aveva trasformato quel posto in una specie di scheletro di citta, in cui non restavano che le ossa.
Erano abbondantemente nella zona temperata, ma Trevize aveva l’impressione di sentire sulla schiena il calore del sole.
Un centinaio di metri sulla sua destra, Pelorat disse d’un tratto: — Guarda qua!
Trevize sussulto. — Non urlare, Janov. Posso sentirti benissimo anche sottovoce, a qualsiasi distanza… Cosa c’e?
Pelorat, abbassando la voce, disse: — Questo edificio e il “Palazzo dei Mondi”… Cioe, credo che sia questo il significato della scritta…
Trevize lo raggiunse. Di fronte a loro c’era una costruzione di due piani. La linea del tetto era irregolare, ingombra di frammenti di roccia… sculture crollate, forse.
— Ne sei certo? — chiese Trevize.
— Se entriamo, lo scopriremo.
Salirono cinque ampi gradini, ed attraversarono una piazza in cui lo spazio si sprecava. Nell’aria rarefatta, le loro calzature metalliche producevano una vibrazione frusciante piu che un rumore vero e proprio.
— Adesso capisco cosa intendevi quando hai parlato di qualcosa di “imponente, inutile e dispendioso” — borbotto Trevize.
Entrarono in un salone. La luce del sole penetrava attraverso grandi finestre, illuminando l’interno in modo troppo vivido, fastidioso, nei punti che colpiva, ma lasciando sacche di oscurita. Anche questo dipendeva dalla rarefazione dell’atmosfera.
Al centro della sala c’era una figura umana in grandezza superiore al naturale, di pietra sintetica, apparentemente. Un braccio era caduto, l’altro braccio era incrinato alla spalla, e probabilmente sarebbe bastata una lieve pressione per far cadere anche quello, riflette Trevize. Indietreggio, quasi temesse di cedere a una simile tentazione vandalica.
— Chissa chi e? Non vedo nessuna scritta. Senza dubbio doveva essere un personaggio famoso, se chi ha collocato qui questa scultura ha pensato bene di tralasciare qualsiasi indicazione.
Pelorat stava guardando in alto, e Trevize segui la direzione del suo sguardo. C’erano dei simboli, incisi su una parete, che Trevize non era in grado di leggere.
— Sorprendente! — esclamo Pelorat. — Avranno forse ventimila anni, eppure trovandosi qui dentro, un po’ al riparo dal sole e dall’umidita, sono ancora leggibili.
— Non per me.
— Sono caratteri antichi, e particolarmente elaborati. Vediamo… sette… uno… due — La voce di Pelorat si perse in un borbottio confuso, poi torno comprensibile. — Sono riportati cinquanta nomi la… e dato che i Mondi Spaziali dovrebbero essere stati cinquanta, e che questo e il “Palazzo dei Mondi”… si, secondo me, quelli sono i nomi dei cinquanta Mondi Spaziali, probabilmente in ordine di fondazione. Aurora e il primo, e Solaria e l’ultimo. Come puoi notare, ci sono sette colonne, con sette nomi nelle prime sei, ed otto nell’ultima colonna. Si direbbe quasi che avessero progettato uno schema simmetrico, sette per sette, e che abbiano aggiunto Solaria solo in seguito. A mio avviso, vecchio mio, quella lista risale ad un periodo precedente alla terraformazione ed al popolamento di Solaria.
— E noi su quale pianeta ci troveremmo? Sapresti dirlo?
— Se guardi bene, vedrai che il quinto nome della terza colonna, il diciannovesimo dunque, e scritto in lettere un po’ piu grandi delle altre: gli autori di questo elenco dovevano essere abbastanza egocentrici da volersi porre in primo piano. E poi…
— E quale sarebbe questo nome?
— Per quel che riesco a leggere io, Melpomenia, mi pare… E un nome che non ho mai sentito.
— Potrebbe rappresentare la Terra ?
Pelorat scosse la testa deciso, anche se esternamente il casco non si muoveva. — Nelle vecchie leggende, la Terra viene indicata con decine di nomi. Come sai, Gaia e uno di questi. Poi abbiamo Earth, Erda, e tanti altri… Sono tutti brevi. Non mi risulta che in questo caso esistano nomi lunghi, e nemmeno che esista qualche nome corrispondente ad una forma abbreviata di Melpomenia.
— Dunque, siamo su Melpomenia… e non e la Terra.
— Gia. Inoltre, come stavo per dire prima, un indizio ancor piu significativo delle lettere piu grandi e che le coordinate di Melpomenia vengono indicate con 0, 0, 0… il che e logico se si tratta di coordinate che si riferiscano al proprio pianeta.
— Coordinate? Quella lista da anche le coordinate? — chiese Trevize frastornato.
— Ci sono tre cifre per ogni nome: secondo me sono coordinate. Che altro potrebbero essere?
Trevize non rispose. Apri un piccolo scomparto della tuta sulla coscia destra ed estrasse un minuscolo apparecchio collegato alla tuta da un cavetto. Lo accosto all’occhio e lo mise a fuoco inquadrando con cura le scritte sulla parete, muovendo con una certa difficolta le dita guantate.
— Una telecamera? — fu la domanda superflua di Pelorat.
— Riversera l’immagine direttamente nel computer di bordo.
Trevize scatto diversi fotogrammi da angolazioni diverse, poi disse: — Un attimo! Devo salire piu in alto. Aiutami, Janov.
Pelorat intreccio le mani, ma Trevize fece cenno di no. — Cosi non sosterrai il mio peso. Mettiti carponi.
Pelorat si inginocchio, a fatica, e altrettanto faticosamente, dopo avere riposto la camera nella tuta, Trevize monto sulle spalle dell’amico e da li passo sul piedistallo della statua. Provo a scuotere adagio la statua per stabilirne la solidita, poi appoggio il piede su un ginocchio piegato e lo uso come base per issarsi ed aggrapparsi alla spalla mutilata. Puntando i piedi contro alcune sporgenze irregolari del torace, si sollevo, e finalmente riusci a sedersi sbuffando sulla spalla. Non era certo un gesto riguardoso, se si pensava alle persone scomparse che un tempo avevano venerato la statua e cio che rappresentasse, e Trevize se ne rendeva conto e si lascio influenzare, infatti cerco di sedere con la maggior leggerezza possibile.