trattarsi di un pianeta modificato, e devono esserci delle forme di vita vegetale per mantenere un livello adeguato di ossigeno. In natura, atmosfere del genere non esistono… tranne, si presume, sulla Terra, dove si e formata chissa come… Pero sui pianeti modificati ci sono sempre quantita ragionevoli di terraferma, fino ad un terzo della superficie complessiva, e mai meno di un quinto. Allora come e possibile che questo sia un pianeta modificato e manchi la terraferma?
Pelorat disse: — Forse, dato che appartiene ad un sistema binario, e un pianeta atipico. Forse non e stato modificato, e la sua atmosfera si e formata in modo diverso da quanto avviene sui pianeti delle stelle singole. Forse qui la vita si e evoluta in maniera indipendente, come sulla Terra… ma solo forme di vita acquatica.
— Anche se fosse cosi, noi non ne ricaveremmo niente — disse Trevize. — Dalla vita marina non puo nascere una tecnologia. La tecnologia si basa sempre sul fuoco, il che e impossibile in acqua: un pianeta vivo ma privo di tecnologia non e quello che stiamo cercando.
— Capisco, ma io stavo solo facendo delle riflessioni. Dopo tutto, per quel che ne sappiamo, la tecnologia e nata una sola volta… sulla Terra. Per il resto, i coloni l’hanno portata con se. Non puoi dire che la tecnologia e sempre in un determinato modo, se hai un unico caso da studiare.
— Lo spostamento in acqua richiede forme aerodinamiche affusolate: non possono esserci profili irregolari, ne appendici come le mani.
— I calamari hanno i tentacoli.
Trevize disse: — D’accordo, discutiamo pure… ma se stai pensando a delle specie di calamari intelligenti evolutisi indipendentemente in qualche angolo della Galassia, ed in possesso di una tecnologia non basata sul fuoco… be’, ti rispondo che a mio avviso e assai improbabile esistano.
— A tuo avviso, pero.
Trevize scoppio a ridere. — Molto bene, Janov. Vedo che stai ricorrendo alla logica ed intendi punirmi per come ho trattato Bliss prima, ed ammetto che stai facendo un buon lavoro. Te lo prometto… se non troveremo della terraferma, esploreremo il mare nel miglior modo possibile in cerca della tua civilta di calamari.
Mentre parlava, la nave entro di nuovo nel lato notturno, e lo schermo divento nero.
Pelorat sussulto. — Ma… continuo a chiedermelo… E sicuro?
— Cosa, Janov?
— Viaggiare cosi, al buio. Potremmo perdere quota, precipitare nell’oceano e disintegrarci all’istante.
— Impossibile, Janov. Davvero! Il computer ci mantiene su una linea gravitazionale di forza. In altre parole, rimane sempre ad una intensita gravitazionale costante rispetto al pianeta, il che significa che siamo sempre a un’altezza costante, o quasi, sopra il livello del mare.
— A che altezza?
— Cinque chilometri circa.
— Questo non mi consola, Golan. E se raggiungessimo la terraferma e ci schiantassimo contro una montagna senza vederla?
— Noi non vediamo, ma il radar della nave vede tutto, ed il computer se ci fosse una montagna ci guiderebbe attorno ad essa o sopra di essa.
— E se ci fosse una distesa di terra piatta? Al buio non la individueremo.
— No, Janov, la individueremo ugualmente. Le onde radar riflesse dall’acqua sono diverse da quelle riflesse dal terreno. L’acqua e sostanzialmente uniforme. Il terreno invece e scabro. Per questo motivo, le onde riflesse dal terreno sono molto piu confuse di quelle riflesse dall’acqua. Il computer notera la differenza, e se ci sara della terraferma in vista ce lo fara sapere.
Rimasero in silenzio e, un paio d’ore piu tardi, raggiunsero di nuovo il lato diurno, mentre l’oceano scorreva monotono sotto di loro oscurato di tanto in tanto da qualche formazione temporalesca. In mezzo ad una di queste perturbazioni, il vento fece uscire di rotta la “Far Star”. Il computer lascio fare per evitare un inutile spreco di energia e per minimizzare la possibilita di danni fisici, spiego Trevize. Poi, superata la perturbazione, il computer riporto la nave in rotta progressivamente.
— Probabilmente era il margine di un uragano — disse Trevize.
Pelorat disse: — Ascolta, vecchio mio… ci stiamo solo spostando da ovest ad est… o da est ad ovest: in pratica stiamo esaminando soltanto l’equatore.
Trevize replico: — Il che sarebbe stupido, vero? No, stiamo seguendo una rotta circolare nordovest-sudest. In questo modo sorvoliamo sia i tropici che le regioni temperate, e ogni volta che ripetiamo il giro la rotta si sposta verso ovest in quanto il pianeta ruota sul suo asse sotto di noi. Stiamo intersecando questo mondo in lungo e in largo, come vedi. E dato che finora non abbiamo avvistato la terraferma, le probabilita di trovare un continente di una certa estensione sono scese sotto il dieci per cento, secondo il computer, e le probabilita di avvistare un’isola di una certa estensione sono scese sotto il venticinque per cento… e diminuiscono ad ogni giro.
— Sai cosa avrei fatto — disse Pelorat lentamente, mentre l’emisfero notturno li risucchiava per l’ennesima volta. — Sarei rimasto ben lontano dal pianeta ed avrei sondato l’emisfero rivolto verso di me con il radar.
— Gia. Poi saresti passato sull’emisfero opposto ed avresti fatto la stessa cosa. O avresti aspettato che ruotasse il pianeta… Questo si chiama senno di poi, Janov. Non ci aspettavamo di avvicinarci ad un pianeta abitabile senza fermarci ad una stazione d’ingresso… dove ci avrebbero assegnato una rotta o ci avrebbero rifiutato l’ingresso. Ed una volta superato lo strato di nubi ci aspettavamo di trovare quasi subito la terraferma. I pianeti abitabili sono… terraferma!
— Be’, solo in parte — replico Pelorat.
— Non intendevo quello — disse Trevize in preda ad un’eccitazione improvvisa. — Sto dicendo che abbiamo trovato la terraferma! Zitto!
Cercando di controllarsi, Trevize appoggio quindi le mani sulla scrivania e si fuse col computer. Un attimo dopo annuncio: — E un’isola lunga circa duecentocinquanta chilometri e larga circa sessantacinque, per un’area approssimativa di quindicimila chilometri quadrati. Non e grandissima, ma e rispettabile. Piu che un semplice puntino sulla mappa… Aspetta…
Le luci della sala comandi si spensero.
— Cosa stiamo facendo? — mormoro Pelorat, come se l’oscurita fosse qualcosa di fragile che si poteva infrangere.
— Aspettiamo che i nostri occhi si abituino al buio. La nave e sull’isola. Guarda. Vedi qualcosa?
— No… Forse qualche piccola chiazza di luce… Ma non ne sono sicuro.
— Anch’io le vedo. Adesso inserisco il telescopio.
Adesso la luce era visibilissima… Chiazze irregolari.
— E abitato — disse Trevize. — Forse e l’unica parte abitata del pianeta.
— Che facciamo?
— Aspettiamo che sia giorno, cosi avremo alcune ore di riposo.
— Ma… se ci attaccassero?
— Con cosa? Non rilevo in pratica alcuna radiazione… a parte i raggi luminosi visibili e degli infrarossi. E un pianeta abitato e gli abitanti sono chiaramente intelligenti. Possiedono una tecnologia, ma e ovvio che si tratti di una tecnologia preelettronica, quindi non credo che ci sia nulla da temere quassu. E se dovessi sbagliarmi, il computer ci avvertira in tempo.
— E quando sara giorno?
— Atterreremo, naturalmente.
7
Quando scesero, i primi raggi mattutini del sole splendevano attraverso uno squarcio tra le nuvole, rivelando parte dell’isola… verdeggiante, con l’interno segnato da una catena di colline basse e ondulate che si perdeva in lontananza in un alone color porpora.
Mentre si abbassavano sempre piu, videro boschetti isolati e qualche frutteto, ma per la maggior parte c’erano fattorie ben curate. Immediatamente sotto di loro, sulla costa sudorientale dell’isola c’era una spiaggia di sabbia argentea fiancheggiata sul retro da una fila irregolare di massi, oltre la quale si estendeva un prato. Di tanto in tanto si scorgeva una casa, ma le case non erano raggruppate in maniera tale da formare un centro