abitato vero e proprio.
Infine, videro una rete di strade fiancheggiate da abitazioni sparse… poi, nell’aria fresca del mattino, avvistarono in lontananza un veicolo aereo. Capirono che si trattava di un veicolo aereo, e non di un uccello, solo dal modo in cui solcava l’aria. Era il primo segno indubitabile di una presenza intelligente concreta visto fino a quel momento sul pianeta.
— Potrebbe essere un veicolo automatico, sempre che siano in grado di costruirne uno senza ricorrere all’elettronica — disse Trevize.
— Ed infatti e probabile che lo sia — disse Bliss. — Se ai comandi ci fosse un essere umano, si dirigerebbe verso di noi, non credi? Immagino che siamo uno spettacolo insolito… un veicolo che si posi in superficie senza ausilio di razzi frenanti che eruttano fuoco.
— Uno spettacolo insolito su qualsiasi pianeta — annui Trevize meditabondo. — Non possono essere molti i mondi che abbiano assistito alla discesa di un veicolo spaziale gravitazionale… La spiaggia sarebbe un posto ideale per l’atterraggio, ma non voglio che il vento faccia inondare la nave. Scenderemo su quel tratto erboso dietro i massi.
— Almeno — commento Pelorat — una nave gravitazionale atterrando non brucia il terreno altrui.
Si posarono dolcemente sui quattro cuscinetti ammortizzatori usciti dallo scafo durante la fase finale. I cuscinetti affondarono nel terreno sotto il peso della nave.
Pelorat disse: — Ho paura che lasceremo dei segni, pero.
— Per fortuna, il clima sembra ragionevole — fece Bliss un po’ circospetta. — Caldo, oserei dire.
C’era una donna sul prato, che osservava la discesa della nave senza mostrare alcun timore ne sorpresa: la sua espressione era solo di estremo interesse.
Non indossava granche, il che confermava la valutazione climatica di Bliss. I suoi sandali sembravano di tela, ed avvolta attorno ai fianchi portava una gonna con un motivo floreale. Le gambe erano nude, ed non indossava indumenti sopra la cintola.
Aveva lunghi capelli di un nero lucente che le arrivavano quasi alla vita, la pelle di un colorito marrone chiaro, gli occhi stretti.
Trevize si guardo intorno e vide che non c’erano altri esseri umani nei paraggi. Stringendosi nelle spalle, disse: — Be’, e prima mattina e puo darsi che gli abitanti per lo piu siano in casa, o dormano ancora… Comunque, non mi pare un’area densamente popolata… Ora andro a parlare con quella donna, sempre che si esprima in modo comprensibile. Voi altri…
— Credo che possiamo benissimo scendere anche noi — replico decisa Bliss. — Quella donna mi sembra completamente innocua, e in ogni caso voglio sgranchirmi le gambe, respirare un po’ d’aria vera, e magari cercare un po’ di cibo locale. Voglio che Fallom si ambienti di nuovo su un mondo, e penso che a Pel piacerebbe esaminare quella donna piu da vicino.
— Chi? Io? — Pelorat arrossi leggermente. — Niente affatto, Bliss… comunque sono io il linguista del nostro gruppetto.
Trevize scrollo le spalle. — D’accordo, venite tutti, allora. Pero, anche se quella donna ha un’aria innocua, intendo portare con me le mie armi.
— Non credo che avrai occasione di usarle con quella giovane, ne che sarai tentato di farlo — osservo Bliss.
Trevize sorrise. — E attraente, vero?
Trevize lascio la nave per primo, poi fu la volta di Bliss e di Fallom, che scese cauta la rampa. Pelorat fu l’ultimo.
La donna continuo ad osservare interessata, senza spostarsi di un millimetro.
Trevize borbotto: — Be’, proviamo.
Stacco bene le mani dalle armi e disse: — Salute a te.
La giovane riflette un istante quindi rispose: — Ed io saluto te e i di te compagni.
Pelorat esclamo esultante: — Meraviglioso! Parla il Galattico Classico, e con un accento corretto.
— La capisco anch’io — disse Trevize, facendo oscillare una mano per indicare che la sua comprensione non era perfetta: spero che lei mi capisca.
Sorridendo, assumendo un’espressione amichevole, continuo: — Veniamo dallo spazio, veniamo da un altro mondo.
— Questo e bene — disse la giovane, con una voce squillante da soprano. — Viene codesta nave dall’Impero?
— Viene da una stella lontana, e si chiama “Far Star”.
La giovane guardo la scritta sulla nave. — E cio che e scritto la? Se si, e se la prima lettera e una F, allora, vi dico, e impressa rovesciata.
Trevize stava per obiettare, ma Pelorat estasiato intervenne. — Ha ragione. La lettera F si e invertita circa duemila anni fa. Che occasione meravigliosa per studiare approfonditamente il Galattico Classico, e come lingua viva!
Trevize osservo attentamente la giovane donna. Non superava di molto il metro e mezzo di altezza, ed i suoi seni per quanto ben fatti erano piccoli. Eppure non sembrava acerba. I capezzoli erano grandi, le areole scure… anche se forse questo dipendeva dal colorito bruno della pelle.
Disse: — Mi chiamo Golan Trevize; il mio amico e Janov Pelorat; la donna e Bliss; e la bambina e Fallom.
— Dunque, sulla stella remota da cui provenite, e usanza che agli uomini due nomi tocchino? Io sono Hiroko, figlia di Hiroko.
— E tuo padre? — chiese Pelorat.
Al che Hiroko si strinse nelle spalle, indifferente. — Il nome di lui, cosi dice mia madre, e Smool, ma non ha importanza: non lo conosco.
— E dove sono gli altri? — domando Trevize. — A quanto pare sei l’unica persona ad accoglierci.
Hiroko rispose: — Molti uomini sono a bordo dei pescherecci. Molte donne, nei campi. Io presi una vacanza negli ultimi due giorni, cosi ora ho avuto la fortuna di vedere questo grande evento. Ma la gente e curiosa, e la nave sara stata vista scendere, pure in lontananza. Presto, altri saranno qui.
— Ci sono molte altre persone su quest’isola?
— Piu di venticinque migliaia — disse Hiroko orgogliosa.
— Ci sono altre isole nell’oceano?
— Altre isole, buon signore? — fece la giovane perplessa.
Per Trevize, fu una risposta sufficiente. Quello era l’unico punto del pianeta abitato da esseri umani.
Chiese: — Qual e il nome del vostro mondo?
— E Alpha. Ci insegnano che l’intero nome e Alpha Centauri, se cio ha significato maggiore per te, ma noi lo chiamiamo Alpha soltanto e, vedi, e un mondo dal volto ridente.
— Un mondo che? — Trevize si rivolse a Pelorat con aria interrogativa.
— Intende dire un mondo bello — spiego Pelorat.
— Lo e — annui Trevize. — Almeno, qui e in questo momento. — Guardo il cielo azzurro del mattino, con le sue nubi che si rincorrevano. — Una bella giornata di sole, Hiroko. Ma immagino che non ci siano molte giornate come questa su Alpha.
Hiroko si irrigidi. — Quante ne desideriamo, signore. Le nubi vengono quando ci occorra pioggia, ma in molti giorni ci sembra bello che il cielo lassu sia limpido. Invero, un cielo favorevole ed un vento calmo sono augurabili nei giorni in cui i pescherecci sono in mare.
— Dunque, la tua gente controlla il clima, Hiroko?
— Non lo facessimo, Golan Trevize, saremmo zuppi di pioggia.
— Ma come fate?
— Non essendo un ingegnere, signore, non posso dirtelo.
— E quale sarebbe il nome di quest’isola su cui vivete tu e la tua gente?
Hiroko rispose: — La nostra isola celestiale in mezzo al vasto mare d’acque e chiamato da noi Nuova Terra.
Al che Trevize e Pelorat si fissarono strabiliati.