— Il che, cara? — fece Hiroko.

— La cosa con cui hai suonato la musica.

— Ah — rise Hiroko. — Quello e un flauto, piccina.

— Posso vederlo?

Hiroko apri un astuccio ed estrasse lo strumento. Era separato in tre parti, ma lei lo monto svelta, lo tese verso Fallom accostandole un’estremita alle labbra e le disse: — Ecco, soffia qui il tuo fiato.

— Lo so, lo so — disse Fallom, e fece per prendere il flauto.

Hiroko si ritrasse di scatto. — Soffia, bambina, ma non toccare.

Fallom sembro delusa. — Posso guardare, almeno? Non lo tocchero.

— Certamente, cara.

Hiroko torno a mostrare il flauto e Fallom lo fisso.

Poi, l’illuminazione fluorescente della sala si affievoli, e risuono una nota di flauto, un po’ incerta, tremula.

Hiroko, sorpresa, per poco non lascio cadere lo strumento, e Fallom strillo: — L’ho fatto. L’ho fatto. Jemby aveva detto che un giorno sarei riuscita a farlo.

Hiroko chiese: — Tu sei stata a suonare?

— Si, io. Io.

— Ma in quale modo hai fatto, bambina?

Rossa per imbarazzo, Bliss disse: — Mi spiace, Hiroko. Ora la porto via.

— No. Voglio che ancora lo faccia — ribatte Hiroko.

Alcuni Alphani si erano raccolti li attorno ad osservare. Fallom corrugo la fronte, quasi stesse compiendo uno sforzo. Le luci si affievolirono piu di prima, e si udi un’altra nota di flauto, questa volta limpida e ferma. Poi i suoni si rincorsero in modo bizzarro, mentre gli oggetti metallici lungo il flauto si muovevano da soli.

— E un po’ diverso dal… — disse Fallom, ansimando, come se il fiato che aveva prodotto il suono fosse stato il suo, non un movimento guidato dell’aria.

Pelorat disse a Trevize: — Probabilmente prende l’energia dalla corrente elettrica che alimenta le luci a fluorescenza.

— Prova ancora — chiese Hiroko con voce strozzata.

Fallom chiuse gli occhi. Le note adesso erano piu lievi, piu sicure. Il flauto suonava da solo, senza dita che lo manovrassero, animato dall’energia trasdotta dai lobi ancora immaturi di Fallom. Le note, dopo un inizio quasi a caso, si disposero in una sequenza armoniosa. Tutti si erano raccolti attorno ad Hiroko e a Fallom… la prima reggeva delicatamente le estremita dello strumento col pollice e l’indice, mentre la bambina ad occhi chiusi dirigeva la corrente d’aria e il movimento dei tasti.

— E il brano che ho suonato! — mormoro Hiroko.

— Lo ricordo — annui Fallom, cercando di non perdere la concentrazione.

— Non hai sbagliato una sola nota — disse Hiroko al termine del pezzo.

— Pero non e giusto, Hiroko: non l’hai suonato giusto.

Bliss intervenne: — Fallom! Non e cortese! Non devi…

— Ti prego — disse Hiroko perentoria. — Non interloquire… Perche non e giusto, bambina?

— Perche io lo suonerei diversamente.

— Mostrami, dunque.

Il flauto torno a suonare, ma in modo assai piu complicato perche le forze che premevano i tasti ora agivano piu rapidamente e creavano combinazioni piu elaborate di prima. La musica era infinitamente piu viva, coinvolgente, vibrante. Hiroko sembrava pietrificata, e nella sala regnava un silenzio assoluto.

Il silenzio continuo anche dopo che Fallom ebbe finito di suonare, finche Hiroko respirando a fondo disse: — Piccola, non avevi mai suonato questo prima?

— No — rispose Fallom. — Prima riuscivo ad usare solo le dita, e con le dita e impossibile. Nessuno puo farlo — soggiunse poi senza avere l’aria di vantarsi.

— Puoi suonare qualcosa altro?

— Posso inventare qualcosa.

— Intendi dire… improvvisare?

A quella parola, Fallom corrugo la fronte e guardo Bliss. Bliss annui, e la Solariana disse: — Si.

— Ti prego, fallo, dunque — chiese Hiroko.

Fallom riflette un paio di minuti, poi inizio lentamente, con una successione di note molto semplice, sognante. Le luci fluorescenti andavano e venivano a seconda dell’energia necessaria. Ma apparentemente nessuno se ne accorse, perche sembrava che quello fosse l’effetto della musica e non viceversa, come se uno spirito elettrico stesse obbedendo ai dettami delle onde sonore.

La combinazione di note si ripete con un lieve aumento di volume, poi un po’ piu complessa, poi in variazioni che senza perdere di vista il motivo di base diventarono sempre piu trascinanti, mozzafiato. Ed infine, dopo la progressiva ascesa, le note scesero vorticosamente, come in una picchiata che riporto a terra gli ascoltatori pur lasciando in loro un senso di euforia e di leggerezza.

Segui un vero pandemonio di acclamazioni, e persino Trevize, abituato a un tipo di musica completamente diverso, penso con rammarico: «Ecco, adesso non sentiro mai piu una cosa del genere».

Quando torno la calma, Hiroko porse il flauto a Fallom. — Prendi, Fallom, questo e tuo!

Fallom si protese in avanti smaniosa, ma Bliss la blocco. — Non possiamo accettarlo, Hiroko: e uno strumento prezioso.

— Ne posseggo un altro, Bliss. Non altrettanto valido, ma e giusto cosi. Questo strumento appartiene a colui che meglio lo suona. Non ho mai sentito musica come questa, e sarebbe sbagliato che possedessi io uno strumento che non so usare come si puo usare invece. Ah, se sapessi suonarlo senza toccarlo!

Fallom prese il flauto e con un’espressione di gioia intensa lo strinse al petto.

14

Le due stanze del loro alloggio erano illuminate da una luce fluorescente ciascuna. Come la latrina. Erano fioche, e volendo leggere non sarebbero state sufficienti, ma Per lo meno gli ospiti non erano al buio.

Adesso comunque indugiavano all’aperto. Il cielo era pieno di stelle, un fenomeno che era sempre affascinante per un indigeno di Terminus, dove il cielo notturno era quasi vuoto a parte lo sfocato scorcio della nube galattica.

Hiroko li aveva accompagnati, temendo che si smarrissero od inciampassero. Durante il tragitto aveva tenuto per mano Fallom, e dopo avere acceso le luci dell’alloggio rimase fuori con loro, continuando a stringere Fallom.

Bliss fece un altro tentativo, perche aveva percepito benissimo che Hiroko fosse in preda a sentimenti contrastanti. — Davvero, Hiroko… non possiamo prendere il tuo flauto…

— No, a Fallom deve rimanere. — Ma malgrado tutto Hiroko era ancora molto scossa.

Trevize stava contemplando il cielo. La notte era particolarmente buia, un’oscurita appena scalfita dalla luce che filtrava dalle loro stanze e dalle scintille quasi invisibili delle altre case in lontananza.

Disse: — Hiroko, vedi quella stella cosi scintillante? Come si chiama?

Hiroko alzo lo sguardo e, senza dimostrare alcun interesse, rispose: — Quella stella e il Compagno.

— Perche viene chiamata cosi?

— Attornia il nostro sole ogni ottanta Anni Standard. E una stella della sera in questa parte dell’anno: e visibile anche di giorno, quando e posta sopra l’orizzonte.

Bene, penso Trevize. Non e del tutto ignorante in astronomia. Disse: — Sai che Alpha ha un altro compagno, molto piu piccolo, molto piu lontano di quella stella brillante? Non si puo vederlo senza un telescopio… — (Nemmeno lui l’aveva visto, non si era preso la briga di cercarlo, ma il computer di bordo conteneva quell’informazione nella memoria.)

Hiroko rispose indifferente: — Ci e stato insegnato a scuola.

— E cosa mi dici di quella stella? Vedi quelle sei stelle che formano una linea a zig-zag?

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