marciapiede. «Mi e passata la fame. Ora vuotate le tasche.»

«Ti diverti a rompere i coglioni, eh?» disse la ragazza. «Scommetto che ti e venuto duro.»

«Vuotate le tasche.»

I due ragazzi lo fissarono con freddezza. La loro amica bevve un altro sorso di birra. Thorne avanzo verso di loro. Il piu basso, allora, fece un rapido scatto, spostandosi qualche metro piu in la, poi si fermo. La ragazza si mosse piu lentamente trascinando per una manica l’amico alto. Retrocedettero, senza smettere di fissare Thorne ed Hendricks.

A un tratto la ragazza getto la lattina vuota in mezzo alla strada e grido: «Froci fottuti!».

Thorne fece per inseguirli, ma Hendricks lo trattenne con forza per la spalla. «Lascia perdere.»

«No.»

«Dai, calmati.»

Thorne si libero dalla stretta. «Piccoli bastardi…»

Hendricks gli si paro davanti, raccolse da terra il sacchetto di plastica e glielo tese. «Che cosa ti da piu fastidio, Tom? Il fatto che abbiano chiamato frocio me, o te?»

Senza rispondere, Thorne prese il sacchetto con la cena e riprese il cammino al fianco dell’amico. Svoltarono quasi subito a destra su Angler’s Lane, una via a senso unico che li avrebbe portati vicino casa di Thorne e che una volta era un piccolo affluente del Tamigi, mentre ora apparteneva ai cosiddetti “fiumi perduti” che scorrevano sotto la citta. Li, ai tempi della regina Vittoria, i ragazzi pescavano carpe e trote. Poi l’acqua era diventata cosi inquinata e maleodorante che tutti i pesci erano morti e il fiume era stato coperto e incanalato in un condotto di ferro. Camminando sopra quel fiume perduto, Thorne penso che la puzza che sentiva doveva essere la stessa di un paio di secoli prima.

Poco dopo le dieci, Hendricks si era gia addormentato sul divano e, con tutta probabilita, non si sarebbe mosso di li fino al mattino. Thorne mise un po’ d’ordine, spense la tivu e ando a letto.

Al telefono di casa non rispose nessuno. Al cellulare, Eve rispose al primo squillo.

«Sono Thorne. Spero che non stessi gia dormendo. Ho pensato che, visto che di domenica il negozio e chiuso, forse saresti stata sveglia…»

«Non preoccuparti, non c’e problema.»

Thorne si stese sul letto. Sembrava contenta di sentirlo. «Volevo ringraziarti» disse. «Oggi sono stato bene.»

«Anch’io. Vuoi che replichiamo?»

Durante il breve silenzio che segui, Thorne fisso il brutto lampadario Ikea, mentre lei rideva piano. C’era un rumore di sottofondo che non riusciva a identificare. «Accidenti!» esclamo. «Non perdi tempo.»

«Che senso ha? Ci siamo visti per la prima volta poche ore fa e adesso mi stai chiamando, percio mi sembra che anche tu sia alquanto interessato.»

«Certo…»

«Bene, allora, la domenica mattina e per dormire e in serata sono impegnata. Quanto ti interessa davvero vedermi? Su una scala da uno a dieci…»

«Ecco… direi… sette. Che te ne pare?»

«Sette va bene. Un po’ meno, e mi sarei sentita insultata. Un po’ di piu, e avrei potuto pensare che sei un maniaco. Che ne dici di fare colazione insieme, lunedi? Conosco un ottimo…»

«Colazione?»

«Perche no? Possiamo vederci prima di andare al lavoro.»

«Va bene. Io comincio intorno alle nove, percio…»

Eve rise. «Veramente mi riferivo a quando io comincio a lavorare, Thorne. Ci vediamo alle cinque e mezzo, al mercato dei fiori di Covent Garden…»

17 luglio 1976

Era passata piu di mezz’ora da quando aveva udito quei rumori.

Grugniti, urla, vetri rotti.

Aveva sentito i passi della moglie dalla camera da letto al bagno, e ritorno.

Aveva trascorso quella mezz’ora cercando di trovare la forza di alzarsi dal divano per andare a vedere che cosa succedeva. Ma non si era mosso. Aveva bisogno di raccogliere piu energia prima di avventurarsi di sopra.

Seduto davanti al televisore, si chiedeva quanto sarebbe durata. Il medico aveva detto che, se lei avesse continuato a prendere i tranquillanti, piano piano sarebbe tornata alla normalita, ma non sembrava che cio stesse accadendo.

Nel frattempo, toccava a lui occuparsi di tutto. Tutto. Lei non era piu in grado di fare nulla, neppure la spesa. Cristo, era passata piu di una settimana dall’ultima volta che era scesa al piano di sotto.

Si avvio verso le scale, lento e rigido come un automa.

Ascoltare, osservare, sentire come tutto cadeva a pezzi. Al lavoro gli avevano concesso un’aspettativa, ma l’indennita di malattia non sarebbe durata a lungo, lei non guadagnava nulla e i debiti crescevano con la stessa rapidita dei sospetti. Come funghi, si annidavano in ogni angolo oscuro della loro vita, fin dal momento in cui il presidente della giuria si era alzato in piedi e si era schiarito la voce.

Entro in camera da letto e vide il proprio riflesso frammentato e distorto nello specchio in frantumi. Getto un’occhiata al letto, dove lei era una massa indistinta sotto le coperte.

Si volto e usci.

In bagno, scivolo su una chiazza di crema per il viso. Evito una macchia gialla di profumo che sembrava piscio. Allontano con un calcio i flaconi rotti sparsi un po’ ovunque.

Tutti quei cosmetici pensati per profumare e rendere gradevole l’aspetto gli diedero il voltastomaco, mescolati com’erano adesso sul pavimento e sulle pareti.

In preda a un conato, si avvicino al lavandino. Lo trovo pieno di tutto cio che prima era nell’armadietto. Fondotinta, rossetto, rimmel… spiaccicati sulla porcellana. Crema idratante che ostruiva lo scarico, come un rifiuto tossico.

Borotalco, shampoo, bagnoschiuma sparsi dappertutto. Lei aveva lanciato le saponette contro le pareti, lasciandovi impresse chiazze rosa e blu. ho specchio era crepato e sporco di smalto per unghie rosso sangue…

Apri il rubinetto sopra quella melma profumata, spruzzandosi dell’acqua sul viso. Lancio un’occhiata alle impronte di lei nel borotalco, alle ditate sulle macchie di crema per il corpo, alle sue tracce su tutto cio che aveva cercato di eliminare.

Era stata benissimo finche non l’avevano scoperta. Finche la consapevolezza di cio che aveva fatto era rimasta tra lei e Franklin. Ora il senso di colpa la divorava. La faceva impazzire. O forse anche quella era una finzione. A quel punto, non aveva piu importanza.

Mezzo minuto dopo lui scese di nuovo le scale, pensando: “Ha mentito, ha mentito, ha mentito…”.

Lei. Gli aveva mentito.

CAPITOLO 7

A Thorne forse sarebbe passata la voglia di frequentare Eve Bloom, se lei si fosse rivelata una di quelle persone mattiniere, irritanti nel loro essere fresche e pimpanti a dispetto dell’ora antelucana. Fu contento, invece, di trovarla seduta in un angolo, con lo sguardo inespressivo e un bicchiere di plastica pieno di te forte in mano. Probabilmente si sentiva di merda, proprio come lui.

Thorne cerco faticosamente di modellare le labbra in un sorriso. «E io che credevo di trovarti piena di gioia, intenta ad assorbire gli odori e i rumori e i colori di migliaia di fiori…»

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