galera gli aveva indurito la mente, ma il corpo era diventato flaccido. Troppo tempo trascorso a leggere e troppo poco in palestra.

Nei suoi ultimi attimi di vita, Welch penso che il dolore era molto peggiore quando non era possibile combatterlo, opporsi alla sua presenza…

L’urlo che aveva in gola si spezzo contro qualcosa che gli stringeva il collo e si trasformo in un sibilo strozzato. Neppure il suo corpo poteva fare nulla. Cercava istintivamente di ritrarsi, ma ogni movimento per sottrarsi a quei colpi furiosi faceva aumentare la pressione della corda intorno al collo e gli mozzava il respiro.

Welch spinse la testa verso il pavimento, sentendo la corda mordergli la carne e i suoi denti affondare dentro la lingua. Oppose resistenza alle mani che gli tiravano indietro il collo, contorcendosi in posizione fetale pochi secondi prima di morire.

“Sto morendo come un neonato” penso, con gli occhi spalancati ma ciechi dentro il cappuccio, mentre una tenebra piu soave e piu scura cominciava ad avvolgerlo.

Thorne aveva appena messo a letto il padre e si trovava in corridoio, quando squillo il cellulare. Prima di rispondere entro nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle.

«Sei ancora alzata?»

«Si» rispose Eve. «Domani posso dormire fino a tardi. Allora, com’e stato il matrimonio?»

«Perfetto, direi. Discorsi insulsi, cibo di merda e una rissa.»

«Non intendevo la festa, ma proprio la cerimonia…»

«Ah, quella? Normale.»

Eve rise. Thorne si sedette sul letto, con il telefono incastrato tra mento e spalla, e comincio a togliersi le scarpe. «Senti, mi dispiace molto per ieri sera…»

«Non essere sciocco. Come sta tuo padre?»

«E irritante, come sempre. Era cosi anche prima della malattia, del resto.» Thorne udiva in sottofondo il rumore del traffico: Eve doveva trovarsi fuori da qualche parte, ma si guardo bene dal chiederle dove. «Davvero, mi dispiace molto di essere scappato via cosi. Siete riusciti a mangiare tutto?»

«No, io…»

«Mi dispiace.»

«Va bene cosi. Sarebbe avanzata un sacco di roba comunque, avevo cucinato troppo. E poi Denise divora anche gli avanzi, quindi non preoccuparti.»

Thorne comincio a sbottonarsi la camicia. «Ringrazia lei e Ben per l’intrattenimento.»

«Niente male, vero? Probabilmente li ho interrotti troppo presto. Ancora un minuto e uno dei due avrebbe gettato un bicchiere di vino in faccia all’altro.»

«Sara per la prossima volta.»

Eve sbadiglio. «Scusa.»

«Ti lascio andare a dormire» disse Thorne. Se la immagino sul sedile posteriore di un taxi, diretta al suo appartamento.

«Buonanotte, Tom. Dormi bene.»

Thorne si stese sul letto. «Senti, ti ricordi di quella scala da uno a dieci? Be’, penso che potrei salire a otto…»

Il cellulare di Thorne squillo di nuovo otto ore dopo, strappandolo a un sogno in cui cercava di salvare un uomo che stava morendo dissanguato. Ogni volta che tappava un buco con un dito, nel corpo dell’uomo se ne apriva un altro, in una scena alla Charlie Chaplin. E quando sembrava che avesse finalmente chiuso tutte le ferite, il sangue aveva cominciato a sgorgare da numerosi fori nel suo stesso corpo.

«Sara meglio che lei torni subito a Londra, capo» disse la voce di Holland.

«Dimmi cos’e successo.»

«L’assassino ha ordinato un’altra corona di fiori…»

Parte Seconda

COME LA LUCE

27 novembre 1996

Chinandosi a raccogliere le chiavi della macchina che gli erano cadute, Alan Franklin fece una smorfia di dolore. Gli mancavano quindici giorni alla pensione e il suo corpo, come un orologio di precisione, gli diceva che era proprio il momento giusto. Il dolore alla schiena e l’idea di un cottage all’estero in cui trascorrere la vecchiaia gli erano venuti esattamente nello stesso giorno.

Si raddrizzo, ansimando rumorosamente nel parcheggio deserto. Forse ne avrebbero parlato di nuovo quella sera, davanti a una bottiglia di vino. Sheila propendeva per la Francia, mentre lui preferiva la Spagna.

In un modo o nell’altro, comunque, se ne sarebbero andati.

Non c’era nulla che li trattenesse. I tre figli che lui aveva avuto da Celia erano adulti e avevano messo al mondo figli a loro volta. Lui ormai non aveva piu contatti con loro, ne aveva mai visto i nipotini.

C’erano gli amici, naturalmente, e di sicuro gli sarebbero mancati. Ma in fondo lui e Sheila non avevano nessun vero legame…

Infilo le chiavi nella serratura della Rover.

Probabilmente alla fine avrebbe vinto Sheila, come sempre. E bisognava ammettere che spesso lei aveva ragione.

Come, per esempio, quella mattina, quando gli aveva detto di coprirsi bene, perche avrebbe fatto freddo.

Giro la chiave, azionando l’apertura centralizzata.

Mentre stava per tirare la maniglia della portiera, qualcosa gli passo con un sibilo davanti agli occhi e lo colpi al collo facendogli perdere l’equilibrio.

Cadde a terra prima di poter urlare, con una gamba spezzata e piegata dietro di se e l’altra protesa in avanti. Si porto le mani alla gola, cercando di infilare le dita tra il collo e la corda che lo stringeva.

Un pugno lo colpi in testa, poi senti le dita insanguinate scivolare via dalla corda.

E un alito caldo dietro la nuca…

Guardo la gamba protesa in avanti scalciare disperatamente contro il cerchione della Rover.

Ricordo all’improvviso il volto della donna sotto di lui.

Senti l’odore del dopobarba che usava allora, la forza che aveva nelle braccia. Vide le gambe di lei che scalciavano contro le scatole impilate nel magazzino e il tonfo sordo dei suoi piedi sul cartone.

Senti il movimento sotto di lui farsi piu debole e cessare, mentre gli occhi di lei si chiudevano.

Sembrava che l’oscurita stesse calando molto in fretta. Forse le luci del parcheggio avevano un timer per il risparmio energetico. Riusciva appena a distinguere il proprio piede, il tacco della scarpa che colpiva ripetutamente il cerchione.

Poi ci furono solo la tenebra e l’afflusso di sangue, e il rimbombare sordo delle pulsazioni nelle orecchie mentre la corda si stringeva.

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