ventiquattrore e la posta sul tavolo accanto al telefono ed entro nel soggiorno.
Fisso lo spazio vuoto dove avrebbe dovuto esserci il televisore. Poi alzo gli occhi sullo scaffale polveroso che non si era mai deciso a dipingere e su cui avrebbe dovuto trovarsi lo stereo. Non c’erano piu neanche i cavi, il che significava che i ladri avevano lavorato con relativa calma. Quando avevano fretta, infatti, si limitavano a strappare via lo stereo, lasciando i cavi penzolanti dalla presa sul muro.
Thorne raddrizzo alcuni libri che prima erano tenuti fermi dalle casse Bose. I ladri non amavano la lettura, ma in compenso si erano portati via tutti i CD. Quei coglioni avrebbero venduto la sua collezione per una dose o due di eroina.
Thorne entro in cucina e vide la finestra da cui erano entrati. Era stato lui a dimenticarsela aperta, due sere prima, quando era corso via in fretta e furia per andare a calmare quello stupido di suo padre.
A parte stereo e televisore, sembrava non mancasse altro. Probabilmente in camera da letto avrebbe trovato un paio di valigie in meno. Di sicuro erano usciti dalla porta, tranquilli e indisturbati, come se quelle valigie contenessero i vestiti per le vacanze.
Il tanfo lo colpi allo stomaco come un pugno, non appena apri la porta della camera da letto. Capi subito da dove veniva. Coprendosi naso e bocca con una mano, scosto le lenzuola. Il suo primo pensiero, quando la vide, fu che c’era voluta una certa abilita per farla nel centro esatto del letto.
Usci rapidamente, chiudendo la porta. Elvis miagolava ai suoi piedi, affamata, o forse ansiosa di negare ogni responsabilita per la merda sul letto. Thorne si chiese se fosse troppo tardi per chiamare suo padre e inveirgli contro per un po’.
Guardo l’orologio. Mezzanotte e dieci.
Aveva appena compiuto quarantatre anni.
CAPITOLO 11
Dall’uscita della metropolitana a Becke House erano dieci minuti a piedi, ma Thorne arrivo in ufficio madido di sudore. Una figura indugiava di spalle accanto all’entrata principale dello stabile, avvolta nel fumo di una sigaretta. Thorne rimase sbalordito quando vide che si trattava di Yvonne Kitson.
«Buongiorno, Yvonne.»
Lei rispose con un cenno del capo, evitando il suo sguardo e arrossendo come una quattordicenne sorpresa a fumare in bagno.
Thorne indico la sigaretta, ormai ridotta a una cicca. «Non sapevo che tu…»
«Be’, ora lo sai.» Lei sorrise e tiro un’altra boccata. «Non sono tanto perfetta, come vedi…»
«Grazie a Dio» disse Thorne.
Il sorriso di Yvonne Kitson si fece piu caldo. Thorne vide che aveva ancora con se la borsa a tracolla. «Ehi, non sei entrata in ufficio?»
Lei scosse la testa, soffiando fuori il fumo da un angolo della bocca. «Cristo, devi essere parecchio sotto stress, allora.»
Yvonne Kitson inarco le sopracciglia, fissandolo come se l’espressione “sotto stress” fosse solo un blando eufemismo.
Rimasero li a guardare in direzioni diverse per alcuni secondi, in silenzio. Thorne decise di muoversi prima che la situazione li costringesse a parlare del tempo. Appoggio una mano sulla porta a vetri e disse: «Ci vediamo di sopra…».
«Oh, merda!» esclamo lei, come se si fosse appena ricordata di qualcosa. «Mi dispiace per il furto che hai subito.»
Thorne annui, si strinse nelle spalle ed entro. Sali le scale meravigliandosi della velocita e dell’efficienza del tamtam della polizia.
Bastava aggiungere alla miscela una dose di sussurri in cinese, ed ecco pronto un cocktail interculturale di voci, pettegolezzi e stronzate che superava in efficacia tutti i sistemi in uso per combattere il crimine.
Thorne ci mise quasi cinque minuti per attraversare la sala di pronto intervento, fino alla macchina del caffe, tra le battute e i lazzi dei colleghi.
«Mi dispiace, amico…»
«Che aria sbattuta, signore! Ha dormito sul divano?»
«Mai frequentato un seminario sulla prevenzione, Tom?»
«Cento di questi giorni…» Era Holland.
Thorne aveva voluto tenere la ricorrenza sotto silenzio e la sera prima, al pub, aveva evitato di accennare al suo compleanno. Evidentemente, doveva aver rivelato la sua data di nascita a Holland in qualche altra occasione. «Grazie.»
«Non e stato un bel regalo di compleanno, eh? Intendo il furto, non…»
«No, non lo e stato.»
«Qualcuno ha detto che le hanno rubato anche la macchina…»
«E un sorriso di compiacimento il tuo, Holland?»
«Niente affatto, signore.»
La sera prima, mentre trascinava il materasso fuori dall’appartamento, Thorne si era ricordato che, quand’era rientrato a casa, non aveva visto la Mondeo parcheggiata davanti. E non aveva visto neppure le chiavi della macchina sul tavolo. Allora aveva lasciato cadere il materasso e si era precipitato in strada. Forse aveva parcheggiato da un’altra parte.
Invece no. Stronzi bastardi…
«Un brindisi di compleanno all’Oak, piu tardi?» propose Holland.
Thorne si diresse alla macchina del caffe. Poi si volto, frugandosi in tasca alla ricerca di monete. «Una cosa tranquilla, va bene?» rispose a bassa voce.
«Certo…»
«Non come l’altra sera. Magari solo tu e Phil.»
