«Va bene.»

«Potrei chiedere anche a Russell se ha voglia di venire…»

«Se non e dell’umore giusto, capo, possiamo fare un altro giorno.»

Thorne infilo le monete nella macchina automatica. «Senti, dopo il casino scatenato dal ritrovamento del secondo cadavere e di fronte alla prospettiva di dover passare chissa quante ore al telefono con la compagnia di assicurazioni della casa, con quella dell’auto e con il dipartimento della nettezza urbana che si incarica di portare via i materassi pieni di merda, penso che un drink mi fara bene.»

Dopo che Holland si fu allontanato, Thorne rimase a sorseggiare il caffe, fissando la grande lavagna bianca che dominava un’intera parete della stanza. Colonne storte tracciate con un pennarello nero, frecce che indicavano indirizzi e numeri di telefono. Le “azioni” del giorno, con le mansioni di ciascun membro di ogni squadra assegnate dal capoufficio. I nomi di coloro che erano marginalmente coinvolti nell’indagine e quelli che, invece, avevano uri ruolo di cruciale importanza: REMFRY, GRIBBIN, DODD…

In una colonna a parte: JANE FOLEY?

Adesso sotto il nome di Douglas Remfry ne era stato aggiunto un secondo e lo spazio vuoto sottostante era pronto ad accoglierne altri. Il titolo della colonna era rimasto uguale: nessuno aveva ancora provveduto a cambiare la “A” di VITTIMA in “E”, ma lo avrebbero fatto presto.

Thorne udi un respiro alle sue spalle e si volto, trovandosi di fronte Sam Karim.

«Come va la testa?»

Thorne lo fisso. «Che cosa?»

«Dopo ieri sera, intendo. Io sto di merda.»

«Io invece sto bene» dichiaro Thorne.

Sam Karim era un indiano imponente, con una folta zazzera di capelli grigi e un forte accento londinese, che gli usciva di bocca a raffica. Appoggio meta del suo grosso sedere sul bordo di una scrivania. «Al diavolo tutte quelle cassette, a proposito…»

«Quali cassette?»

«Quelle della tivu a circuito chiuso del Greenwood Hotel.»

Thorne si strinse nelle spalle, per nulla sorpreso.

«Ci sono solo un paio di inquadrature che potrebbero servirci» disse Karim. «Ma sono di schiena. Le telecamere coprono bene soltanto il bar e la zona intorno alla reception e agli ascensori. Sapendo dove sono piazzate, e possibile entrare e salire per le scale senza essere visti.»

«Lui lo sapeva» concluse Thorne.

Fissarono entrambi la lavagna per un paio di secondi. «Questa e la differenza tra la nostra squadra e le altre, no?» disse Karim.

«Quale?»

«Loro hanno una vittima. Noi ne abbiamo una lista.»

Nei film e nei telefilm, c’e un momento, un cliche, un’inquadratura particolare, che indica l’accendersi di una lampadina nella mente. Per la gente reale, cio significa ricordare il titolo di una canzone o il posto in cui si sono lasciate le chiavi della macchina. Per il poliziotto cinematografico, di solito e un’illuminazione meno piacevole. E l’istante che fornisce la chiave per risolvere il caso. Allora, nel momento in cui lui ha questa brillante intuizione, la macchina da presa fa una zumata, piu o meno veloce, sul suo viso, mostrando la luce della comprensione che gli si accende negli occhi.

Thorne non era un attore. Non annui con dura determinazione, non si esibi in uno sguardo enigmatico. Resto li con la tazza di caffe in mano e la bocca aperta come un idiota.

«Una lista…»

La certezza lo colpi come una palla da cricket. Senti il sudore affiorare da ogni poro della sua pelle per poi esserne di nuovo inghiottito. Caldo, freddo.

«Ti senti bene, Tom?» chiese Karim.

Thorne non senti il caffe bollente che gli si versava sulla mano, mentre attraversava la stanza e il corridoio a passo di marcia ed entrava risolutamente nell’ufficio di Brigstocke. L’ispettore capo alzo gli occhi, vide la sua espressione e mise giu la penna.

«Cosa…?»

«So come fa a trovarli» annuncio Thorne. «Come fa a scoprire dove sono gli stupratori.»

«Come?»

«Potrebbe essere davvero molto semplice. Magari il nostro uomo lavora per il servizio carcerario, o frequenta pub intorno a Pentonville o agli Scrubs, e si e fatto amico qualche secondino, ma sinceramente non mi sembra probabile. In fin dei conti, scoprire in quale carcere si trova un detenuto per violenze sessuali non e tanto difficile. La famiglia, i verbali del processo… Basterebbe anche solo andare in biblioteca e sfogliare i quotidiani locali.»

«Tom…»

Thorne fece un rapido passo avanti, appoggio il caffe sulla scrivania di Brigstocke e comincio a misurare a grandi passi il piccolo ufficio. «Il difficile e il dopo. Scoprire la data di rilascio e l’indirizzo. Avevo pensato che potesse esserci qualche collegamento con le famiglie, ma Welch era privo di fissa dimora. La sua famiglia non ha voluto avere piu nulla a che fare con lui e ha cambiato residenza diversi anni fa.» Thorne lancio un’occhiata a Brigstocke, come se fosse tutto estremamente ovvio. Brigstocke annui, aspettando il seguito. «I dettagli del rilascio sono soggetti a variazioni, giusto? I prigionieri possono essere trasferiti, la data puo cambiare… L’assassino deve avere accesso a informazioni aggiornate…»

«Devo telefonare a qualcuno per saperlo,» si spazienti Brigstocke «o ti decidi a dirmi come cavolo fa a trovarli?»

Thorne si concesse un breve sorriso. «Esattamente come facciamo noi.»

Dietro gli occhiali, Brigstocke sbatte due volte le palpebre, lentamente. La confusione sul suo viso si trasformo in qualcosa di simile al rammarico. «Il Registro dei Condannati per Reati Sessuali.»

Thorne annui e riprese in mano il suo caffe. «Cristo, non riesco a credere che ci abbiamo messo tanto…»

Brigstocke fece un respiro profondo e si mise a camminare avanti e indietro nello spazio tra la scrivania e la parete. Stava cercando di assimilare quella novita, di trasformarla in qualcosa che poteva gestire. «Non c’e bisogno di dirlo, vero?» disse alla fine.

«Cosa?»

«Che questa informazione deve restare tra noi.»

Thorne guardo fuori dalla finestra. Il sole stava per scomparire dietro una nuvola: i suoi raggi scaldavano ancora e sentiva il sudore colargli lungo la schiena. «Non c’e bisogno di dirlo» confermo.

«E non solo perche si tratta di un argomento… delicato.»

Thorne sapeva che Brigstocke aveva ragione. L’esistenza di quel registro era stata per anni quella che i giornali amavano definire “una patata bollente”. Non c’era affatto bisogno di riaprire il dibattito. Quando lancio un’occhiata a Brigstocke, vide che l’ispettore capo sorrideva.

«Questo potrebbe essere l’amo con cui lo prenderemo, Tom…»

Thorne ci contava.

Brigstocke giro intorno alla scrivania. «Allora, partiamo dalle istituzioni che hanno informazioni sui dati di un criminale. Quelle che ricevono di routine tutte le variazioni e gli aggiornamenti. I servizi sociali, l’ufficio per la liberta vigilata…»

«E noi, ovviamente» concluse Thorne. «Non dimentichiamoci della polizia, Russell.»

La Mcpherson House si trovava in una strada laterale non lontano da Camden Parkway. Nel corso di un secolo, era stata un teatro, un cinema e una sala da bingo. Ora, quasi in rovina, ospitava un ostello.

«Che posto di merda» commento Stone, fissando il soffitto sporco e ammuffito sopra la sua testa.

Holland alzo gli occhi. C’erano ancora residui di doratura lungo le modanature. Tralci di foglie di stucco si susseguivano attraverso il soffitto e scendevano avviluppandosi alle colonne ai quattro angoli della stanza. «Una volta doveva essere bellissima…»

Sul pavimento c’era una vecchia copia del «Daily Star». Stone la scosto con il piede. Annuso l’aria stantia e fece una smorfia. «E una vergogna…»

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