Mentre procedevano, Holland fece a Stone un riassunto della storia dell’edificio. Il teatro diventato cinema. Il cinema soppiantato dal bingo, negli anni Settanta. La sala da bingo resa obsoleta, trent’anni piu tardi, dai gratta e vinci e dalla lotteria nazionale.

Stone sbuffo. «A proposito, suppongo che i tuoi sei numeri non siano usciti…?»

«Mi vedi ancora qui, no?»

I loro passi echeggiavano sui pavimenti di pietra, attutiti di tanto in tanto da un tappeto consunto. «Secondo te, che cosa sostituira la lotteria?»

Holland scosse la testa. «Nulla, finche continuera a essercene richiesta.»

Stavano camminando dietro il sorvegliante dell’ostello, un imponente cinquantenne di nome Brian, con i capelli grigi e lunghi, un grosso orecchino e un gile multicolore. Senza voltarsi, Brian a un tratto allargo entrambe le braccia, in un gesto che indicava tutto quel luogo.

«C’e sempre richiesta anche di questo, ma…»

Sotto quei soffitti, lo spazio era tutto occupato da lavandini crepati e letti di metallo. C’erano anche una cucina, una sala mensa e un paio di piccoli televisori assicurati ai termosifoni con catene. Dietro i letti, lungo i muri, c’erano intere file di armadietti ammaccati, alcuni senza lucchetto, molti senza sportello. Tutti arrugginiti e coperti di scritte.

«Il municipio li ha avuti per nulla,» spiego Brian «quando e stata chiusa la piscina in fondo alla strada.»

Holland osservo il pavimento, mentre continuavano a camminare. Sotto molti letti c’erano scarpe, quasi tutte da jogging. Qualche valigia malandata. Dozzine di borse di plastica.

Stone si tolse la giacca. «Un dormitorio per vagabondi, insomma.»

Brian si volto a meta. Sembrava uno in grado di farsi rispettare, quando ce n’era bisogno. «Gia. Ce ne sono di tutti i tipi. Vecchi, ragazzi scappati di casa, drogati… Qualche ex detenuto come Welch…»

«Dove vanno durante il giorno?» chiese Holland.

Brian rallento e aspetto che lo raggiungessero. «Girano qua e la. Chiedono l’elemosina, cercano un posto dove dormire un po’…» Sorrise, vedendo l’espressione confusa di Holland. «Qui stanno al caldo e possono mangiare qualcosa, ma non dormono quasi mai. Hanno paura di essere derubati, se si addormentano. E, quand’anche volessero farsi un sonnellino, i colpi di tosse di un centinaio di persone e il cigolio continuo dei letti non sarebbero l’ideale per conciliare il sonno.»

«La mia ex mi teneva sveglio tutta la notte» disse Stone. «Parlava nel sonno, digrignava i denti…»

Brian sorrise. «Qui ora c’e un discreto silenzio, ma all’ora di cena per il casino non riuscireste a sentire neppure i vostri pensieri. Cominciano ad arrivare appena fa buio. Alle nove sono gia tutti dentro.»

Holland guardo i letti, sistemati in file, immaginando la scena.

Il sorvegliante si fermo, diede un piccolo colpo sullo sportello aperto di un armadietto e si fece da parte. «Questo era di Welch. Mi troverete in ufficio, se avete bisogno di qualcosa.»

Stone e Holland si infilarono i guanti. Il primo si dedico a perquisire l’armadietto, mentre il secondo si trovo, per la seconda volta in poco piu di due settimane, a frugare in ginocchio sotto il letto di uno stupratore assassinato.

Ci vollero meno di due minuti per raccogliere gli effetti personali di Welch: una vecchia borsa da viaggio piena di vestiti che puzzavano di disinfettante, una borsa di plastica piena di mutande e calzini sporchi, una radio macchiata di vernice bianca, un rasoio elettrico e un paio di romanzi economici.

Tra le pagine di uno dei libri, le foto di Jane Foley.

«Eccola qui» disse Stone, tenendo una foto tra le dita. «Piu bella che mai.»

Holland si alzo in piedi, avvicinandosi per guardare. «Quante ce ne sono?»

«Sei. Niente lettere. Deve averle gettate via.»

Stone fece scivolare le foto in una busta di plastica trasparente e se le infilo in una tasca interna della giacca. Holland raccolse tutto il resto in un sacco nero per la spazzatura. Quando ebbe finito, prese anche la borsa da viaggio. Era leggera.

«Non possedeva un granche, eh?» disse.

Stone chiuse l’armadietto e si strinse nelle spalle. «Non meritava di piu» rispose.

Era quasi mezzogiorno e cominciava a fare davvero caldo. Holland si passo una mano sul collo per detergere il sudore. Cerco di immaginare cosa stesse passando per la mente di Stone. «Dici cosi perche era un ex detenuto o perche aveva violentato una donna?» chiese. «Sul serio, mi interessa saperlo…»

Stone ci penso su. Holland si fece rimbalzare il sacco di plastica contro un ginocchio.

«Suppongo che gli avrei concesso un po’ piu di compassione se fosse stato un falsario» rispose Stone. «Un po’ meno se avesse ammazzato cinque o sei ragazzine…»

Holland osservo l’espressione sul viso del collega. «La tua si che e una scala di valori» commento ridendo, mentre si avviavano verso l’uscita.

Percorsero la Parkway diretti verso il parcheggio a pagamento dove Stone aveva lasciato la Cougar. A intervalli regolari, il marciapiede era invaso da mucchi di sacchi neri come quello che portava Holland. Dopo il museo di Madame Tussaud, il mercato domenicale di Camden era ormai la seconda attrazione turistica della citta e la pulizia stradale del lunedi doveva essere una fatica improba.

«Allora, quanto manca al lieto evento?» chiese Stone. «Un paio di mesi?»

Holland si passo il sacco da una spalla all’altra. «Dieci settimane.»

«Sophie avra una pancia grande come una casa…»

Holland sorrise e si giro a guardare la vetrina di un ristorante giapponese, dove erano esposti dei sushi rossi, gialli e rosa. Si ripromise di assaggiarne uno, prima o poi.

Svoltarono a sinistra e Stone sblocco le portiere dell’auto con il telecomando. «E allora? E una cosa eccitante, no?»

«Si, lei e molto eccitata.»

Stone apri la portiera. «Io mi riferivo a te…»

«Alza il culo. Culo per aria! Brava, cosi. Ora muovi le dita…»

Lo studio era stato noleggiato per un video e Charlie Dodd si era offerto di farne la regia, gratis. Stava appunto dando istruzioni alla ragazza dallo sguardo annoiato stesa sul letto, quando squillo il telefono.

«Un po’ di gemiti, tesoro…»

Afferro il ricevitore con una mano sudata, borbotto un “Pronto?” e attese.

«Ho ricevuto il messaggio…»

Dodd riconobbe subito la voce. Senza voltarsi, indico con un gesto alla ragazza di continuare da sola e si tolse la sigaretta di bocca.

«Mi chiedevo quando ti saresti fatto vivo.»

«Ho avuto parecchio da fare, questo fine settimana.»

Dodd allungo la mano e butto la cenere della sigaretta in un bicchiere di plastica ancora mezzo pieno di te. «Qualcosa di interessante?»

«Il messaggio diceva che volevi farmi un favore…»

«Te l’ho gia fatto, il favore, amico» disse Dodd. «Un grosso favore.»

«Continua…»

Dodd penso che l’uomo sembrava rilassato. Probabilmente era una messinscena, perche doveva aver gia immaginato cio che lui stava per dirgli. Sapeva che avrebbe dovuto tirare fuori del denaro e voleva mostrarsi sicuro di se nel caso in cui ci fosse stato da contrattare il prezzo. Ma la sua era una messinscena molto convincente. Sembrava che sapesse gia tutto…

«La polizia e stata qui, con una delle tue foto di quella ragazza con il cappuccio in testa.» Dodd rimase in attesa di una reazione, ma non accadde nulla. «Mi hanno fatto un sacco di domande…»

«E hai dovuto raccontare bugie, Dodd?»

Dodd tiro l’ultima boccata dalla sigaretta, stretta tra l’indice e il pollice. «Qualcuna, si. Un paio di poco conto, ma una grossa.» Lascio cadere la cicca nel bicchiere di plastica e si volto a guardare la ragazza sul letto. «Ho detto di non aver mai visto la tua faccia. Ho detto che non ti sei mai tolto il casco in mia presenza.»

Il culo della ragazza ondeggiava a destra e a sinistra e quella deficiente gemeva come se avesse il mal di

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