«Parla del suo lavoro con te? Del caso a cui sta lavorando?»
Eve stava comprimendo i cartoni per farli entrare nel bidone della spazzatura. «No, non mi dice nulla.»
«Oh, andiamo, qualcosa dovra pur dirti…»
«Una volta, un paio di settimane fa, abbiamo parlato un po’ di questo serial killer che sta cercando di catturare. Abbiamo quasi litigato e da allora ha evitato qualunque riferimento al suo lavoro.»
«Tranne quando gli serve come scusa…»
«Forse sono io a essere un po’ paranoica…»
Denise si verso nel bicchiere cio che restava del vino e sollevo la bottiglia vuota con aria trionfante. Il campanello suono.
«Dev’essere Ben» disse Denise. «Oggi ha dovuto lavorare fino a tardi, per finire un montaggio.» Ingollo una lunga sorsata di vino e usci di corsa dalla cucina.
Eve senti il rumore dei suoi piedi sulle scale, il cigolio del portone, i gemiti soffocati quando i due si abbracciarono sulla soglia…
Decise che, prima che loro salissero, sarebbe andata in camera sua. Avrebbe letto un po’, cercando di non pensare troppo a Tom Thorne. Si affaccio in cima alle scale e annuncio: «Vado a dormire! Ci vediamo domattina!».
L’ultima cosa che voleva era stare li a guardarli mentre si accarezzavano.
Il sole entrava a fiotti da due grandi finestre in fondo alla stanza, ma la luce era fredda e metallica, come in una sala per le autopsie.
Una luce bianca accecante, ma Thorne sapeva perfettamente che era notte.
Indossava un pigiama e, sopra il pigiama, la giacca di pelle marrone. Si muoveva rapidamente in giro per la stanza, al ritmo di una melodia che conosceva, ma che non riusciva a identificare.
I tre letti di metallo erano equidistanti tra loro e ben allineati. Erano simili a brande da ospedale, ma piu grandi e confortevoli. Su ciascuno, oltre a uno spesso cuscino e a un lenzuolo pulito, c’era un cadavere.
Thorne si avvicinava al primo letto, stringeva le mani intorno al metallo freddo e fissava Douglas Remfry. Il sedere per aria, la faccia premuta contro il lenzuolo. Cominciava a scuotere il letto, gridando, pieno di disprezzo per quell’uomo e per cio che aveva fatto.
«Avanti, alzati, pigro bastardo. Ci sono un sacco di donne che non vedono l’ora di essere violentate. Alzati e va’ a cercarle…»
Con le scosse del letto, la pelle iniziava a staccarsi dal cadavere, scivolandogli di dosso come un vestito sporco e mettendo a nudo le ossa.
Thorne rideva, indicando cio che rimaneva del violentatore. «Cristo, pigrone, vuoi alzarti o no?»
Si avvicinava al secondo letto e faceva cadere la pelle anche dal cadavere di Ian Welch, prendendolo in giro.
Non provava nulla per quegli uomini morti. Per quei pezzi di carne…
Davanti al cadavere di Howard Southern, Thorne si accorgeva che il letto vibrava da solo, mentre qualcosa passava rumorosamente sotto il pavimento. Un’ombra velava la luce che entrava dalle finestre e Thorne alzava lo sguardo. Osservava il movimento, avanti e indietro, finche l’odore gli colpiva le narici.
Rideva di nuovo, vedendo cio che quei cadaveri erano diventati. Cio che probabilmente erano sempre stati. Tre merde, ciascuna nel centro esatto del letto. Probabilmente a farle era stato il cadavere appeso al soffitto.
Thorne si sveglio e il sogno si dileguo, lasciandogli solo una serie di emozioni: disprezzo, rabbia e vergogna.
Erano le due e mezzo del mattino.
Quando anche le sensazioni furono svanite, rimasero solo i pensieri. Thorne pensava a una donna e alla violenza che aveva subito. Ormai era morta da quasi trent’anni, cosi come il suo assassino, ma non faceva differenza.
In Jane Foley, Thorne aveva finalmente trovato una vittima di cui poteva importargli qualcosa.
CAPITOLO 19
Era lunedi mattina. Erano passate sette settimane dal giorno in cui era stato trovato il cadavere di Douglas Remfry e piu di venticinque anni dal giorno in cui Jane Foley era stata uccisa dal marito, dopo aver subito uno stupro e un processo umiliante. Thorne cercava ancora un collegamento tra i due omicidi e sperava che la donna seduta davanti a lui potesse aiutarlo.
Thorne sapeva che l’Essex, a dispetto delle barzellette sul quoziente d’intelligenza e le abitudini sessuali delle sue donne, era pieno di sorprese. Tuttavia, l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere a Colchester, ex capitale della Britannia romana, era un municipio che sembrava una villetta di campagna.
L’ufficio del Servizio Affidi e Adozioni era un po’ malmesso, certo, ma comunque stupefacente. E lo stupore era evidente sul volto di Thorne, mentre la direttrice faceva accomodare lui e Holland in una stanza con pannelli di quercia alle pareti, travi a vista e soffitto decorato.
«In origine questa era la rimessa. So che sembra carina, ma, credetemi, lavorarci dentro e tutta un’altra storia.» Joanne Lesser era una trentenne nera dalla pelle non troppo scura, alta e forse un po’ troppo magra per i gusti di Thorne. Le sopracciglia folte incorniciavano un viso che pareva severo, finche non si apriva in un sorriso. In quei momenti era facile immaginarsela mentre rideva per una barzelletta spinta, dopo qualche bicchiere di troppo bevuto a un party natalizio.
«L’edificio praticamente cade a pezzi» disse Joanne. «I pavimenti non devono essere gravati di pesi eccessivi, gli schedari possono essere appoggiati solo contro certe pareti e nulla e in piano. Se non state attenti, potreste scivolare con la vostra sedia all’altro capo dell’ufficio.»
Thorne e Holland fecero un sorriso di cortesia, evitando i commenti, e la donna si strinse nelle spalle. L’unico rumore nella stanza era quello di un vecchio ventilatore di metallo che sembrava anch’esso un pezzo di antiquariato. A un’estremita della scrivania, sopra un computer polveroso era allineato un intero esercito di pupazzetti, rigidi e morbidi.
«Lei ha gia parlato al telefono con l’ispettore capo Brigstocke» disse Thorne, alzando la voce per sovrastare il rumore del ventilatore. «Mark e Sarah Foley?»
Joanne Lesser prese un foglio dalla scrivania e lo fisso in silenzio.
«1976…» aggiunse Holland, incoraggiante.
«Bene, come potete certo immaginare, si tratta di un caso che non e affatto semplice» disse la donna, con un sorriso. «Tutto cio che posso dirvi con un minimo di certezza e che chi ha ricevuto in affido quei due ragazzi non e piu iscritto nei nostri registri come affidatario ancora attivo.»
Holland si strinse nelle spalle. «Sarebbe stato sperare troppo…»
«Gia» ribadi Thorne, anche se in realta ci aveva sperato.
«Stiamo parlando di piu di venticinque anni fa» disse Joanne Lesser. «E possibile che le persone che si sono prese cura di loro siano ancora attive, ma in un’altra regione.»
«E come possiamo controllare?» chiese Thorne.
«Non ne ho idea. In ogni modo e un’eventualita remota… La mia era solo una riflessione ad alta voce…»
Thorne sentiva che stava per venirgli l’emicrania. Si avvicino con la sedia alla scrivania e indico il ventilatore. «Mi scusi, potrebbe…»
La direttrice allungo una mano verso l’interruttore e lo spense.
«Grazie» disse Thorne. «Cercheremo di fare in fretta. Perche prima ha usato l’espressione “con un minimo di certezza?”»
«Perche gli unici file a cui ho accesso da qui sono quelli che riguardano le persone ancora iscritte come affidatane attive.»
«I vecchi file sono su qualche altro computer?»
Lei sbuffo. «Qui abbiamo iniziato a scrivere a macchina meno di dieci anni fa e ci sono ancora un sacco di documenti manoscritti. L’edificio in cui ci troviamo non e l’unico relitto del passato…»
