sarebbero visti piu tardi, e usci nel corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.
«E ancora valido l’appuntamento per sabato?» gli chiese Eve.
«Spero di si.»
«Bene. Ceniamo da qualche parte, poi andiamo a casa tua.»
«Perfetto. Ah… Sai, c’e una cosa che non ho ancora fatto…»
«Chi se ne frega. Hai un divano, no?»
Aveva del lavoro da fare. Dal punto di vista professionale e da quello del suo progetto personale. Non che considerasse gli omicidi una cosa personale, nel senso di qualcosa che riguardava il suo essere.
No, cio che faceva a quegli animali nelle stanze d’hotel non era affatto personale. Lo aveva sempre negato e continuava a negarlo. Certo, gli piaceva farlo ed era felice quando metteva loro la corda al collo e tirava. Ma se fosse stato dipeso solo da lui, non sarebbe accaduto nulla.
Lui era soltanto un’arma.
Stranamente, sentiva di svolgere con maggiore partecipazione il suo lavoro quotidiano. Pagare un mutuo significava assumersi responsabilita precise, mentre l’altra cosa che faceva non gli arrecava alcun beneficio personale, anche se poi lui si sentiva coinvolto. Il lavoro recava sempre impresse le sue impronte, da qualche parte.
Rise e continuo a lavorare. Ultimamente c’era parecchio da fare e si stava davvero guadagnando lo stipendio. Ora aveva meno tempo per organizzare le altre cose, ma in realta il piu era fatto e non c’era bisogno di preoccuparsi.
A parte qualche dettaglio, l’ultimo omicidio era gia organizzato.
CAPITOLO 23
Thorne non era convinto. «Non ho mai interrogato nessuno nello stesso posto dove compro i pantaloni.»
«C’e sempre una prima volta per tutto» disse Holland.
Portarono i caffe al tavolino dove Irene Noble li stava aspettando, circondata dai sacchetti degli acquisti appena effettuati. La caffetteria di Marks Spencer era un’innovazione recente, incuneata in un angolo del reparto di moda femminile e affollata di clienti che avevano iniziato presto la giornata, come Irene Noble.
Mentre si sedeva accanto a Holland, Thorne lancio un’occhiata a tutte quelle donne che stavano facendo una breve pausa, prima di rituffarsi nello shopping frenetico. C’erano anche due o tre uomini dall’aria stanca, contenti di potersi sedere un attimo e di non dover esprimere pareri su qualcosa per alcuni minuti.
Irene Noble prese dalla borsetta una scatoletta di dolcificante e ne fece cadere una minuscola pastiglia nel suo caffellatte. Sollevo le sopracciglia, fissando Holland. «Probabilmente pensano che io sia sua madre» disse.
Era ancora una bella donna per i suoi sessanta — e passa — anni, penso Thorne, anche se il tentativo di tenere lontana la vecchiaia era un po’ troppo evidente. I capelli troppo biondi, il rossetto rosso vivo troppo marcato sulle labbra. Doveva essere la fase di strenua lotta che precede quella della resa, quando lei avrebbe confessato la sua eta a chiunque, avrebbe indossato sempre un camicione e non gliene sarebbe fregato piu nulla di nulla…
«Ci parli di Mark e Sarah, signora Noble.»
Lei sorrise brevemente e bevve un sorso di caffellatte. «Roger diceva sempre che li avevamo persi nel trasloco. Come un servizio da te, ha presente?» Vide l’espressione di Thorne e aggiunse: «Non lo diceva con cattiveria, ma con dolcezza. Era fatto cosi. Trovava sempre una battuta per farmi ridere quando mi veniva da piangere. Ho pianto molto, quando e successo…».
«Li avevate adottati da poco, giusto?»
«Si. Era l’inizio del 1984. Erano con noi gia da quattro anni. Avevamo avuto dei problemi, certo, ma poi tutto si era sistemato.»
Il suo tono era un po’ affettato. Thorne ricordava che anche sua madre lo usava, quando voleva esibire il meglio di se a beneficio di medici, insegnanti, poliziotti…
«C’erano stati dei problemi anche con le famiglie che li avevano tenuti prima di voi, se non sbaglio…» disse Holland.
«Si, e tutti li avevano abbandonati subito. Solo Roger e io tenemmo duro. Sapevamo che era un problema che dovevamo superare. Erano bambini disturbati e Dio sa se non avevano tutto il diritto di esserlo.»
«Di che tipo di problemi si trattava?» chiese Thorne.
«Comportamentali. Difficolta di adattamento. Roger e io pensavamo di essere riusciti a fargliele superare, ma ovviamente ci sbagliavamo.» La donna prese un cucchiaino e fisso la tazza mentre girava il caffellatte. «Comportamentali» ripete, come se fosse una diagnosi medica. Thorne getto un’occhiata a Holland, il quale si strinse nelle spalle.
«Quindi avete deciso di adottarli?» La signora Noble annui. «E loro come hanno reagito?»
Lei lo fisso come se avesse fatto una domanda molto stupida. «Avevano perso i genitori ed erano stati rifiutati da tutte le famiglie che li avevano avuti in affido. Sono stati felici quando hanno saputo che saremmo stati una vera famiglia. Roger e io avevamo sempre voluto dei figli. Con Mark e Sarah ci siamo forse risparmiati i pannolini e quant’altro, ma vi garantisco che le notti insonni non sono mancate…»
«Ne sono certo» la interruppe Thorne.
«…sia quando erano con noi, sia dopo che sono scomparsi…»
«Com’e successo?»
La donna spinse da parte la tazza, appoggiando sul tavolino le mani dalla pelle macchiata. «Il giorno del trasloco nella nuova casa era un sabato mattina. C’era il caos che potete bene immaginare. Scatole e scatoloni dappertutto, i facchini che scivolavano sulla neve che copriva la strada… Abbiamo detto ai ragazzi di sistemare laloro roba da soli eloro sono saliti al piano di sopra…»
«A litigare per chi dovesse avere la stanza piu grande, immagino.»
«No, avevamo gia deciso in anticipo quali sarebbero state le loro stanze.»
«E cosa e successo?»
«Avevano entrambi bisogno di uno spazio privato, capisce?»
«Cosa e successo, signora Noble?»
«Nessuno li ha sentiti andare via, nessuno li ha visti. Sono spariti come fantasmi…»
«Quando vi siete resi conto che se n’erano andati?»
«Eravamo occupatissimi a sistemare la casa, ad aprire scatoloni per cercare questo o quello.» La signora Noble inizio a tormentarsi un’unghia. «E stato solo verso l’ora di cena… Non ricordo esattamente quando, so solo che era gia buio.»
«E…»
«All’inizio non ci siamo preoccupati troppo. I ragazzi uscivano spesso senza dire nulla. Erano molto indipendenti e molto uniti. Mark proteggeva sempre la sorella.»
Thorne getto un’occhiata a Holland. «E quando avete chiamato la polizia?»
«La mattina dopo, quando abbiamo scoperto che non erano tornati a dormire.»
Thorne si chino in avanti. Prese uno dei biscotti italiani che venivano offerti con il caffe e lo spezzo in due. «Chi ha chiamato la polizia?» chiese, con tono apparentemente casuale.
La risposta arrivo senza esitazione. «Roger. Invece di telefonare, e andato al commissariato di persona, pensando che cosi tutto si sarebbe risolto piu in fretta. Mi ha riferito che la polizia si era attivata subito. Due agenti sono venuti a casa nostra, mentre io ero fuori a cercare i ragazzi per strada.»
«E stato Roger a dirle che erano venuti?»
Lei annui. «Hanno dato un’occhiata alle stanze dei ragazzi, hanno fatto un po’ di domande, si sono portati via alcune foto…»
Thorne lancio un’occhiata a Holland e lui subito si appunto sul taccuino di trovare foto dei ragazzi da elaborare al computer, invecchiando i volti, come aveva suggerito Brigstocke. Thorne si mise in bocca la seconda meta del biscotto e mastico per alcuni secondi, prima di parlare di nuovo.