«Che cosa?»
«Dovrei rileggere la deposizione, ma se non sbaglio sembra che Southern avesse detto ai suoi amici che era stata lei ad abbordarlo.»
Thorne guardo le fotografie in bianco e nero sparse sulla scrivania di Brigstocke. «Jane Foley» disse.
«Ma chi e, realmente?» disse Kitson.
«Potrebbe essere chiunque» rispose Thorne. «Non possiamo trascurare nessuna possibilita. Una modella ingaggiata per l’occasione, una prostituta. L’assassino potrebbe averla usata per le foto, offrendole un extra perche telefonasse a Remfry e a Welch e abbordasse Southern…»
Brigstocke stava radunando i suoi appunti. Non credeva a una parola di cio che Thorne stava dicendo, non piu di quanto ci credesse lo stesso Thorne. «No, e Sarah, la sorella. Deve essere lei.»
«Con il nome della madre» aggiunse Thorne.
«La madre e il perno di tutta la faccenda» sottolineo Holland. «Tutto gira intorno a Jane.»
«Tutto gira intorno a una famiglia» puntualizzo Thorne.
«Il che significa,» intervenne Brigstocke «che tutto e ancora piu complicato e ingarbugliato di quanto riusciamo a immaginare.»
«Io comincio a immaginarmelo» disse Thorne, come se pensasse ad alta voce. «La famiglia puo fare molti danni.»
«Abbiamo finito?» chiese Yvonne Kitson e si avvio verso la porta senza attendere la risposta. «Ho ancora un paio di cose da fare prima che inizi il briefing.»
«Direi che possiamo andare. Tutto chiaro?» Brigstocke guardo l’ora, poi il viso di Thorne, molto meno facile da decifrare del quadrante dell’orologio. «Bene, allora cominciamo tra cinque minuti.»
Il messaggio che lo avvisava della telefonata arrivata per lui era scarabocchiato a mano su un foglietto, che Holland appallottolo mentre componeva il numero.
«Signora Noble? Sono l’agente Holland. Grazie per aver chiamato.» Si era ripromesso di richiamarla lui, il giorno prima, ma dopo l’intuizione di Thorne tutti i programmi erano saltati.
«Ho ascoltato il suo messaggio un po’ tardi,» disse lei «e non mi e sembrato il caso di disturbarla a casa.»
«La prossima volta non si faccia scrupoli» la esorto Holland. In ogni caso, la sera prima probabilmente non avrebbe neppure sentito il telefono, assordato com’era dalle urla di Sophie.
«Le foto mi verranno restituite, vero?»
«Certamente, glielo prometto.»
«Ci mettero un po’ di tempo a trovarle. Sono in cantina. O forse in soffitta, non ne sono sicura. Ma le trovero.»
Holland si volto verso la sala di pronto intervento che si stava riempiendo. Senza dubbio, fuori c’erano ancora una dozzina di fumatori, intenti a dare l’ultimo tiro alla sigaretta prima del briefing, ma la maggior parte delle sedie e delle scrivanie era gia occupata.
«Crede di farcela in un paio di giorni?»
«Si, direi di si. Ho accumulato tanta di quella roba inutile, nel corso degli anni…»
«Quando le avra trovate, possiamo passare noi a prenderle?»
«Certo» rispose Irene Noble. «Venite quando volete, io non mi muovo di qui.»
Thorne era solo nell’ufficio di Brigstocke. Mancavano pochi minuti all’inizio del briefing. Brigstocke era gia nella sala di pronto intervento. Dopo di lui, avrebbe parlato Thorne.
Era in piedi accanto alla scrivania e fissava le foto della donna. Una serie di immagini attentamente costruite per tentare e sedurre, per offrire, ma senza concedere nulla.
Thorne non aveva modo di sapere con certezza se la donna delle foto fosse Sarah Foley. In realta, non importava. Era li, e allo stesso tempo non c’era. Nella maggior parte delle foto era in ginocchio, con la testa china, oppure in ombra. Thorne studio le immagini una per una, sperando in un’altra illuminazione.
Ma a parte il messaggio seduttivo che mandavano, quegli scatti non gli rivelarono nulla di nuovo. Anche dal punto di vista dei dettagli fisici erano poco significativi, a parte il motivo costante della sottomissione. In alcune foto la donna sembrava avere i capelli scuri, mentre in altre risultavano piu chiari. In un paio era addirittura bionda, ma poteva trattarsi di una parrucca. Il corpo, poi, pareva cambiare a seconda della posa e della luce. Era alternativamente flessuoso e muscoloso e la posizione in cui la donna si trovava rendeva impossibile giudicarne l’altezza e perfino la corporatura.
Sarah Foley, se si trattava di lei, restava ancora nascosta.
Thorne guardo l’orologio. Di li a un minuto sarebbe toccato a lui parlare. Il suo compito era quello di galvanizzare la squadra, di portarla a segnare il gol della vittoria.
Nei giorni successivi avrebbero lavorato tutti come muli, lui per primo. Avrebbero dovuto ripercorrere tutto il corso dell’indagine e rivedere il lavoro gia fatto alla luce della nuova pista, ma lo slancio era positivo. Thorne avvertiva come un’accelerazione collettiva delle pulsazioni. L’indagine stava prendendo velocita e da quel momento in poi Thorne avrebbe fatto in modo che nulla piu potesse sfuggirgli.
Comunque, a parte l’eventualita di un arresto, il fine settimana prometteva di lasciargli un po’ di tempo libero. Il sabato sera sarebbe stato dedicato a Eve e la domenica a suo padre. Thorne si concesse un sorriso. Se sabato fosse andato tutto come sperava, la mattina successiva non sarebbe partito tanto presto per St Albans.
Karim apparve sulla soglia, lanciandogli uno sguardo significativo.
«Arrivo, Sam» lo rassicuro Thorne.
Avrebbe parlato con autentica passione ai poliziotti che lo stavano aspettando. Voleva prendere quell’assassino, adesso piu che mai, e voleva diffondere quel desiderio come un’epidemia. Voleva suscitare quell’inebriante sensazione fatta di disperazione e di fiducia al tempo stesso che a volte riusciva a far accadere le cose da sole.
Non avrebbe parlato, invece, dell’altra sensazione che aveva dentro, quella che gli causava una vertigine…
Era vero, si stavano muovendo velocemente, adesso. Ma Thorne non poteva fare a meno di sentire che qualcosa si stava muovendo con la stessa velocita e determinazione verso di loro. Ci sarebbe stata presto una collisione, ma lui non era in grado di prevedere quando, ne in quale direzione.
Sarebbe arrivata all’improvviso.
Thorne raccolse le foto dalla scrivania, le infilo in un raccoglitore e si avvio verso la sala di pronto intervento.
CAPITOLO 26
Le loro voci erano poco piu che sussurri.
«Ti ho svegliato?»
«Che ora e?»
«E tardi. Torna a dormire.»
«No, non c’e problema…»
«Mi dispiace.»
«Stavi facendo di nuovo quel sogno?»
«E un periodo in cui lo faccio ogni notte. Cristo…»
«Prima non ti capitava mai, vero? Ero io quello che faceva i brutti sogni.»
«Be’, ora mi capita. Credi che smetteranno, dopo?»
«Cosa?»
«I sogni. Smetteranno, quando sara tutto finito?»
«Lo sapremo presto.»
«Sono nervosa per il prossimo.»