in pelle, in tela, qualcuno di scrittori degli anni '60 e '70, altri di autori classici. Ne sfoglio uno e vide la dedica. Erano regali di ammiratori: aristocratici, ministri, registi teatrali, poeti. Apri un'altra cassa e vi trovo porcellane accuratamente incartate. Una terza conteneva oggetti d'argento. Sigari… intatti. Portasigarette. Piccole sculture in legno. Statuette. Suo padre odiava le statuette di porcellana: ne trovo tre scatoloni pieni, le piu vecchie avvolte in giornali dell'epoca, le piu recenti in fogli di plastica a bolle. Si rese conto di che cosa stesse guardando. Omaggi a suo padre, piccoli doni che gli venivano offerti in qualche occasione mondana, piccole espressioni di gratitudine per il suo genio.

Altri ricordi. Viaggi con suo padre. Raramente aveva pagato un pasto o una camera d'albergo, dove trovava sempre mazzi di fiori. Se si fermavano in qualche casa privata, i proprietari lasciavano silenziose offerte di frutta per dimostrare quanto fossero stati onorati dalla visita del grand'uomo.

«Cosi va il mondo», diceva suo padre. «La grandezza e sempre premiata. Se io fossi un calciatore o un torero non sarebbe diverso. Si tratta sempre di genio, non importa con che cosa, con il piede, con la cappa, la penna o il pennello. Eppure… che cos'e mai? Grandi pittori possono dipingere quadri senza vita, brillanti toreri fanno disastri con magnifici tori, superbi scrittori scrivono pessimi libri, calciatori sublimi riescono a giocare da fare schifo. E allora che cos'e questo… questo volubile genio?»

Si, l'idea lo aveva irritato moltissimo. Javier lo ricordava con la mano alzata, il pollice premuto contro l'indice con tale forza che la punta delle dita si era sbiancata. Aveva pensato stesse per dire che il genio non era nulla.

«Il genio e un interstizio.»

«Un che cosa?»

«Una breccia. Una minuscola fessura alla quale, se si e fortunati, si puo mettere l'occhio per vedere l'essenza.»

«Non capisco.»

«Non puoi capire, Javier, perche tu hai la benedizione della normalita. Per il calciatore l'interstizio e il momento in cui sa esattamente, senza esserne conscio, dove si trovera la palla, come dovra correre per raggiungerla, dove dovra mettere i piedi, dove sara il portiere, l'istante preciso in cui dovra colpire il pallone. Calcoli evidentemente impossibili divengono magicamente semplici, il movimento e fluido, il tempismo sublime, l'azione cosi… rallentata. Lo hai notato? Hai mai notato il silenzio di quei momenti? O ricordi soltanto il ruggito mentre il pallone accarezza la rete?»

Un'altra conversazione interminabile con suo padre. Falcon scosse la testa per liberarsene. Guardo in tutte le scatole, vagamente a disagio nel constatare l'ordine metodico del padre. Francisco Falcon in genere lavorava in una grande confusione di colori, di hashish, di musica e, a Siviglia, quasi sempre di notte, eppure in quel ripostiglio regnava la pignoleria. Quasi a conferma di cio, apri una scatola piena fino all'orlo di banconote. Non dovette nemmeno contarle, perche un biglietto lo informo che si trattava di ottantacinque milioni di pesetas. Una grossa somma di denaro, sufficiente a comprare una piccola villa o un appartamento di lusso. Gli torno alla mente il discorso di Salgado a proposito di fondi neri. Avrebbe dovuto distruggere anche le banconote?

L'ultimo scatolone conteneva altri libri, rilegati in pelle, ma senza titolo. Anche il dorso era liscio. Ne apri uno a caso. Le pagine erano coperte dalla scrittura nitida di suo padre. Una riga gli salto all'occhio:

Sono cosi vicino.

Richiuse di scatto il volume per riaprirlo alla prima pagina: Siviglia 1970, Diari. Suo padre aveva tenuto un diario e lui non lo aveva mai saputo. La fronte era di nuovo imperlata di sudore e Falcon l'asciugo con la mano. Mano umida. Cerco di capire in che ordine erano stati riposti i diari e si rese conto che aveva tra le mani l'ultimo. Fece scorrere le pagine fino al dicembre 1972 e alle ultime parole del diario:

Sono veramente stufo ormai. Credo che smettero.

Infilata nella cassa trovo una busta indirizzata «A Javier». Gli si rizzarono i capelli sulla nuca. L'apri con dita tremanti. La data sulla lettera era: 28 ottobre 1999. Il giorno prima che suo padre morisse, tre giorni dopo il suo ultimo testamento.

Caro Javier,

se stai leggendo questa lettera, significa che stai pensando di disubbidire alle istruzioni e al mio preciso desiderio contenuto nel mio ultimo testamento del 25 ottobre 1999, nel quale, nel caso tu lo abbia dimenticato, e affermato in termini molto chiari che tutto cio che e contenuto nel mio studio deve essere completamente distrutto.

Si, esiste una scappatoia per te, Javier, che hai una mente logica da poliziotto. Puoi aver deciso di voler ispezionare, valutare, leggere e annusare le mie cose prima di distruggerle. Tu mi conosci meglio degli altri miei figli, noi due abbiamo parlato in un modo, con una confidenza che non sono mai riuscito ad avere con Paco o con Manuela. Sai che cosa intendo dire. Sai perche ho fatto cosi e ho affidato tutto a te.

Tanto per cominciare, ne Paco ne Manuela riuscirebbero mai a bruciare 85 milioni di pesetas, ma tu si, Javier. So che lo farai, perche sai da dove proviene questo denaro e, cosa piu importante, perche sei incorruttibile.

Forse pensi che la mia grande fiducia in te ti conferisca il diritto di leggere questi diari. Naturalmente non posso fare niente per impedirtelo e va bene cosi, ma devo avvertirti che il loro contenuto potrebbe essere devastante. Io non ne saro responsabile. Devi decidere tu.

I diari non sono completi, sara necessario un lavoro da investigatore. Tu sei perfetto per questo compito, ma non prenderlo alla leggera, Javier, specialmente se ti senti forte, contento, rinvigorito dalla tua vita attuale. Questa e una piccola storia di dolore e diventera la tua. L'unico modo di evitarlo e non cominciare.

Il tuo affezionato padre,

Francisco Falcon

XIII

Sabato 14 aprile 2001, casa di Falcon, calle Bailen, Siviglia

Falcon rimise la lettera nella busta, la infilo nella scatola e spense le luci nelle due stanze, avvertendo che il buio inghiottiva con ingordigia il lavoro di suo padre.

I giardini di fronte al Museo de Bellas Artes stavano cominciando a riempirsi di giovani che fumavano marijuana e bevevano a collo dalle bottiglie da un litro di Cruzcampo. Alle undici di sera era ancora presto, ma, entro qualche ora, gli alberi oscuri sarebbero stati scossi dal frastuono di una festa di massa all'aperto. Si diresse verso il centro, lontano da luoghi dove poteva essere conosciuto.

Un certo ritmo si stabili dentro di lui, un ritmo che non richiedeva il pensiero, solo la sensazione del selciato sotto la suola delle scarpe. Le parole della lettera di suo padre gli risuonavano fragorose nella mente come un interminabile treno merci che sussultasse a intervalli regolari sui binari. Sapeva che lo avrebbe fatto, sapeva che non avrebbe resistito e avrebbe letto i diari.

Mezz'ora dopo era in calle Jesus del Gran Poder, un nome altisonante per una strada di poche pretese. Taglio per l'Alameda, dove le ragazze erano appostate tra gli alberi e le macchine parcheggiate nello spazio libero che la domenica mattina ospitava il mercato delle pulci. Dai bar e dai club in fondo alla strada giungeva una musica ritmata. Una ragazza si stiro la minigonna elasticizzata sul sedere e si avvicino per domandargli che cosa cercasse. Aveva la faccia nera e bianca nelle luci gialle della via, i seni spinti in su nella scollatura geometrica di un top a rete, lo stomaco nudo arrotondato, le labbra nere e lucide: la lingua sembrava una creatura marina che si affacciasse tra gli scogli. Falcon era ipnotizzato. La ragazza suggeri qualcosa che funziono, con sorpresa dell'uomo. Aveva voglia di sesso, ma non gli era mai venuto in mente di comprarlo. La prostituta aveva attirato la sua attenzione ormai, usava tutti i trucchi e Falcon sentiva qualcosa smuoverglisi dentro, ma nella posizione sbagliata, nel colore sbagliato, gli si torceva nello stomaco come le spire di un serpente

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