appena fuori dal Petit Soco, una specie di labirinto costruito intorno a un cortile centrale dove cresce un grosso fico. La luce entra dai punti piu sorprendenti. R. pensa che sia la casa di un pazzo. La sua e appena fuori dalla porta della medina in una strada del Grand Soco dove vivono molti spagnoli. Sono allarmato dal modo in cui mi parla continuamente della figlia tredicenne di un avvocato spagnolo che abita di fronte a lui. Come per miracolo il padre della ragazzina diventa il nostro avvocato ed e lui a stilare i contratti per l'acquisto delle proprieta. Io pago 1500 dollari e R. 2200 dollari e non dobbiamo prendere in prestito nemmeno un centesimo.
7 ottobre 1945, Tangeri
Ho ricominciato a dipingere. Disegno la casa e la dipingo in chiaroscuri astratti. Ogni tanto emerge un motivo all'interno di queste strutture in bianco e nero. Tenso ai miei lavori in Russia e capisco da dove mi viene questa ossessione monocromatica.
26 dicembre 1945, Tangeri
Durante la cena della vigilia di Natale R. mi domanda se io desideri sposarmi. «Con te?» gli domando, e ridiamo cosi forte che la verita comincia a divenire per me penosamente chiara. R. e una presenza massiccia nella mia vita (non cosi io nella sua). Controlla ogni mia mossa; siamo soci, ma comanda lui: pensa a pagare le mie spese, mi da istruzioni sulle misure di sicurezza da prendere, elabora tutti i piani. Io ho compiuto da poco trent'anni, ne ho otto piu di lui. Deve essere per via della Legione, di quella vita… ho bisogno di strutture ordinate per funzionare. Non sono padrone di me stesso… tranne quando mi ritiro nel mio cortile.
Questa casa e come la mia testa e la dice lunga su di me, se e vero, come dice R., che e la casa di un pazzo. Mi insedio in nuove stanze, una ha il soffitto molto alto e in cima alla parete c'e una finestra schermata da tralicci moreschi. Me ne sto seduto sul tappeto a fumare hashish e a contemplare ipnotizzato il disegno delle ombre spostarsi con il sole.
L'altro giorno P., il barman del Cafe Central di Petit Soco, mi ha indicato un «altro pittore spagnolo», un tipo dall'aspetto peggiore di quelli che vivono nelle chabolas della periferia. Si chiama Antonio Puentes. Dipinge, ma non vende e non espone. Io non capisco perche e cerco di discuterne con lui, ma lo trovo irremovibile. P. mi presenta a un musicista americano, un certo Paul Bowles. Conversiamo in arabo, dato che conosco poco l'inglese e il suo spagnolo e ancora peggio. Mi parla del majoun, una specie di marmellata di hashish di cui ho avuto notizia, ma che non ho mai provato. P. la prepara e ne compriamo un po'.
5 gennaio 1946, Tangeri
Fa freddo e piove. Un tempo troppo brutto per uscire con le barche. R. mi fa vedere il regalo che ha comprato per la giovane figlia del nostro avvocato: una bambola d'osso, un oggetto di una delicatezza straordinaria, ma un po' macabro. Piu tardi vediamo la ragazzina che attraversa la strada con i suoi genitori, stanno andando verso la medina e la cattedrale spagnola. E molto bella, ma pur sempre una bambina. Le curve dei seni sono appena accennate e la linea del corpo e dritta dalle ascelle alle cosce. Non capisco che cosa lo attiri in lei fino a quando R. non mi rivela un'altra cosa della sua vita di un tempo. La figlia dell'avvocato gli ricorda una bambina del suo paese i cui genitori sono stati ammazzati come quelli di R., solo che la piccola non aveva voluto staccarsi da loro e nemmeno suo padre era riuscito ad allontanarla da se. Esasperati, gli anarchici avevano sparato anche a lei. Che cosa rivela questo sull'infatuazione di R. per la figlia dell'avvocato? Quella ragazzina ha toccato in lui cio che per lui ha piu valore.
25 gennaio 1946, Tangeri
Ho un po' di majoun. Lo spalmo sul pane e lo mangio nella stanza strana dal soffitto alto, annaffiandolo con te alla menta. Non faccio in tempo a posare il bicchiere sul vassoio che cado in un intontimento beato, poi, dopo qualche minuto, sento il mio corpo riprendere vita dalla punta dei capelli ai calli dell'alluce. Sto fluttuando in alto, a pochi centimetri dal soffitto e guardo fuori dal traliccio della finestra affacciata sui tetti della medina, sulle mura e sul mare grigio in lontananza. Un sole acquoso mi disegna la trama della finestra sulla camicia. Agito le mani e le gambe, preoccupato all'idea di essere a sette metri da terra senza un sostegno visibile. Chiudo gli occhi e mi rilasso. Comincio ad avere freddo, un freddo terribile, nemmeno in Russia ho sofferto cosi. Apro gli occhi e vedo il soffitto imbiancato a calce e su quella distesa bianca piccole macchie nere che si rivelano mucchi di cadaveri congelati. Sono molto spaventato. Con uno sforzo di volonta cerco di uscire da quello stato, che tuttavia dura per ore. Quando mi sveglio e buio. Stamani ho visto chiazze di umidita sul soffitto, causate dalle piogge invernali. Grappoli. Spore. Morti viventi.
Giovedi 19 aprile 2001, Jefatura, calle Blas Infante, Siviglia
Falcon, convinto che il Raul dei diari di suo padre altri non fosse che Raul Jimenez, chiamo Ramon Salgado, che gli confermo i suoi programmi: il gallerista avrebbe cenato presto a Madrid, avrebbe preso il treno ad alta velocita e sarebbe stato di ritorno a casa verso l'una di notte. La mattina seguente aveva un altro appuntamento e la sua segretaria, Greta, gli propose di vederlo per colazione, un incontro anche troppo lungo per Falcon, che non desiderava trascorrere tanto tempo con Salgado; d'altro canto sarebbe stato divertente vedere la faccia del vecchio mercante nel sentir nominare la MCA Consultores.
La Jefatura era quieta e Falcon si appoggio allo schienale cercando nella memoria un caso in cui il nome di Raul Jimenez fosse stato pronunciato da Francisco Falcon. Nel 1961, quando sua madre era morta, suo padre non faceva altro che dipingere. Javier non riusciva a ricordare che si fosse mai occupato di affari e da quando si era stabilito a Siviglia nessuno con quel nome era mai venuto nella loro casa. Era sorprendente, inoltre, che suo padre non figurasse tra le foto delle celebrita di Jimenez. Evidentemente si erano persi di vista.
Dondolandosi sulla sedia girevole, diede un'occhiata ai rapporti della squadra. Si segnalava un'auto a cinque porte grigia intorno alla piccola area industriale alle spalle del cimitero. A uno degli uomini della sorveglianza era sembrata una Golf, all'altro una Seat. La targa era troppo sporca per essere leggibile, anche se uno dei due aveva visto le prime lettere, SE, sigla che la qualificava come una targa di Siviglia. Il rapporto di Serrano riferiva che solo le auto che si comportavano in modo sospetto venivano notate e quella macchina grigia aveva girato lentamente intorno alle fabbriche dietro al cimitero.
Il rapporto di Perez sulle Mudanzas Triana era ben fatto e approfondito: aveva perfino inserito una pianta del magazzino con l'indicazione dello spazio affittato da Jimenez. Colloqui prolungati con il capodeposito, con il signor Bravo e con gli altri dipendenti avevano dimostrato che sarebbe stato impossibile per l'assassino avere il tempo necessario per tutte le riprese della Familia Jimenez, se avesse lavorato nell'azienda. Il giorno in cui il Betis aveva perso contro il Siviglia 4 a 0 tutto il personale regolare era impegnato e anche la mattina del funerale di Raul Jimenez tutti avevano prestato servizio. A Perez era stata presentata una lista di collaboratori occasionali impiegati nel corso dell'ultimo anno e alla fine era stato ammesso che alcuni di questi non avevano il permesso di lavoro. Solo una piccola percentuale aveva fornito l'indirizzo. Il rapporto sui filmini familiari, invece, consisteva di due righe di fatti essenziali.
Fernandez aveva mostrato la foto di Eloisa Gomez a tutte le persone incontrate nel cimitero. Nessuno ricordava di averla vista. Gli addetti alla manutenzione del verde non lavoravano di sabato e di domenica. L'area destinata alla raccolta dei rifiuti era cintata da una fitta siepe. Secondo Fernandez, sarebbe stato piu che possibile uccidere Eloisa Gomez e nasconderla li il sabato mattina: quel giorno i cancelli del cimitero si aprivano alle otto e trenta, ma prima delle dieci i visitatori erano poco numerosi.
Dopo aver scorso i rapporti, Falcon si dedico a elaborare la serie di domande destinata a far crollare le solide difese di Consuelo Jimenez, ammesso che ne avesse ancora.
Arrivo la squadra e Falcon mise tutti al corrente dei progressi, progressi lenti, e riconfermo tre uomini nel lavoro al cimitero e nella zona industriale. Prego Ramirez di uscire, disse a Perez di non essere convinto che egli avesse l'entusiasmo necessario per quel caso e lo destino a un'altra indagine. Perez se ne ando, furioso.
Ramirez rientro e rimase in piedi accanto alla finestra, rigirandosi l'anello sul dito, con l'aria di voler