«Certo,» disse Esau, con una strana voce tesa. «Facciamo presto».

Si affrettarono. Esau prese la lanterna, e corse audacemente davanti al cugino. Quando giunsero al posto nel quale i due fiumi s’incontravano, egli poso al suolo la lanterna, e prese dal tronco cavo la radio con mani che tremavano. Len sedette sul vecchio tronco caduto, con la bocca aperta, le mani premute sui fianchi indolenziti. Il Piper’s Run stava ruggendo come un vero fiume, gonfio e impetuoso fino agli argini alti. C’era un vortice di spuma, nel punto in cui le sue acque si gettavano in quelle del Pymatuning. L’acqua era tumultuosa, bianca di spuma, altissima, ora, quasi allo stesso livello del terreno sul quale si trovavano, e rifletteva confusamente il chiarore delle stelle, e la notte era piena di quel suono impetuoso.

Esau lascio cadere la radio.

Len balzo avanti, lanciando un grido. Esau riafferro la scatola, velocissimo e frenetico, prendendola per il rocchetto sporgente. Il rocchetto si stacco, e la radio continuo a cadere, piu piano, pero, pendendo dal filo tenuto dalle mani di Esau. Cadde, con un soffice tonfo, sull’erba dell’anno prima. Esau rimase a guardare con occhi sbarrati la scatola, l’erba, il rocchetto, e il filo.

«Si e rotta,» disse. «Si e rotta».

Len s’inginocchio subito sul terreno.

«No, non si e rotta. Guarda». Avvicino la radio alla lanterna, e la indico. «Vedi quelle due piccole molle? Il rocchetto puo uscire, e il filo si svolge…».

Eccitatissimo, giro il bottone. Era una cosa che non avevano saputo, ne tentato, prima di quel momento. Aspetto che iniziasse il ronzio. Questa volta, era molto piu forte che in passato. Indico a Esau di indietreggiare, e l’altro obbedi, srotolando il filo, e il rumore si fece sempre piu forte, e d’un tratto, senza alcun preavviso, una voce d’uomo disse, raschiante e molto, molto lontana:

«…ritornare anch’io alla civilta il prossimo autunno, spero. Comunque, la roba e sul fiume, pronta da caricare, non appena…».

La voce scomparve in un rombo che pareva prodotto dal vento. Attonito, Esau srotolo il filo fino in fondo. E una voce debole, debolissima, disse:

«Sherman vuole sapere se avete notizie di Byers. Non si e messo in con…»

E fu tutto. Il rombo e il rischio e il ronzio continuarono, cosi forti che i due ragazzi ebbero paura che si potessero udire lontano, nei campi dove proseguiva la ricerca delle mucche smarrite. Ancora una, due volte ebbero l’impressione di cogliere delle voci debolissime, in mezzo a quel fragore, ma non riuscirono a distinguere chiaramente altre parole. Len giro il bottone, ed Esau riarrotolo il filo metallico nel rocchetto, e premette in modo che ritornasse al suo posto: il rocchetto rientro nel suo spazio, con un lieve scatto delle piccole molle.

I due ragazzi riposero la radio nell’albero cavo, e raccolsero il lume rimasto sul terreno, e si allontanarono, attraverso i boschi notturni. Non parlarono. Non si scambiarono neppure un’occhiata. E nel vacillante chiarore della lanterna, i loro occhi erano grandi e scintillanti.

6.

Dapprima apparve la nube di polvere, in fondo alla strada. Poi la cima del tendone lampeggio, bianca, colpita dai raggi del sole, un biancore vivissimo tra il verdeggiare degli alberi. Il tendone si fece piu grande e piu rotondo, e il carro comincio ad apparire, sotto di esso, e i cavalli che lo tiravano cominciarono ad apparire piu chiaramente, dalla confusa macchia nera e tumultuosa della prima apparizione alla fila sgranata di sei grandi cavalli bai che trottavano fieri come imperatori, con i morsi schiumanti e i finimenti tintinnanti.

In alto, a cassetta, sedeva il signor Hostetter, che impugnava orgogliosamente le redini, la barba fluente nel vento, e il cappello e gli abiti ricoperti della polvere bruna della strada.

Len disse:

«Ho paura».

«Perche diavolo hai paura?» domando Esau. «Non devi andare, no?»

«E forse neppure tu dovresti andare,» borbotto Len, guardando il ponte di legno che tremava, mentre il carro vi passava sopra ondeggiando, con un grande fragore. «Non credo che sia cosi facile».

Era giugno, e tutt’intorno le foglie lucide e verdi risplendevano. Len ed Esau erano fermi vicino a Piper’s Run, proprio ai confini del villaggio, dove la ruota del mulino pendeva inerte nell’acqua, e i martin pescatori saettavano come frecce di fiamma azzurra. La piazza del villaggio era a meno di cento metri di distanza, e la vi era riunita tutta la cittadinanza, tutti coloro che non erano troppo piccoli, o troppo vecchi, o troppo malati per essere portati fuori. C’erano amici e parenti venuti da Vernon e da Williamsfield, da Andover e da Farmdale e da Burghill, e dalle fattorie solitarie sul confine della Pennsylvania, che erano piu vicine in linea d’aria a Piper’s Run che a qualsiasi altro villaggio della loro regione. Era la festa delle fragole, il primo grande avvenimento sociale dell’estate, nel quale persone che non si vedevano dalla prima nevicata dell’inverno potevano incontrarsi e parlare e rimpinzarsi allegramente, seduti all’ombra colorata sotto gli olmi.

Una frotta di ragazzi si era messa a correre lungo la strada, incontro al carro. Ora stavano correndo accanto a esso, gridando parole di saluto e domande al signor Hostetter. Le ragazze, e i bambini ancora troppo piccoli per correre, se ne stavano ai margini della piazza, e agitavano le braccia e chiamavano, le ragazze con le loro cuffie e le lunghe gonne che fluttuavano nel vento tiepido, i bambini che parevano le riproduzioni dei loro padri, in miniatura, con piccoli cappelli bruni e abiti tessuti a mano. Poi tutti cominciarono a muoversi, un’ondata che attraversava la piazza e si avvicinava al carro, che procedeva sempre piu lento, e infine si fermava, con i sei grandi cavalli che drizzavano il capo e sbuffavano orgogliosi, come se avessero compiuto una grande impresa a portare il carro fin la, e ne fossero giustamente fieri. Il signor Hostetter agito la mano e sorrise, e un ragazzo si arrampico a cassetta e gli mise tra le mani un cestino di fragole.

Len ed Esau rimasero dov’erano, osservando da una certa distanza il signor Hostetter. Len si senti pervadere da uno strano brivido, in parte dovuto al senso di colpa che provava per la radio rubata, in parte dovuto a un senso di complicita, perche lui conosceva un grande segreto sul conto del signor Hostetter, e questo segreto lo metteva in disparte, lo isolava dagli altri. C’era qualcosa, pero, che gli impediva di sostenere lo sguardo del signor Hostetter.

«Come intendi fare?» domando a Esau.

«Trovero il modo».

Il ragazzo stava fissando il carro con un’intensita quasi fanatica. Dalla notte durante la quale avevano udito le voci, Esau era diventato strano, scontroso, qualcosa che era avvenuto dentro di lui, e non fuori, e a volte Len provava l’impressione di non conoscerlo piu, di trovarsi con una persona completamente nuova e diversa e imprevedibile. Andro laggiu, aveva detto, intendendo parlare di Bartorstown, e da quel momento era stato posseduto da quel pensiero, come un invasato, in attesa dell’arrivo del signor Hostetter.

Esau prese il braccio di Len, improvvisamente, e strinse forte.

«Non vuoi venire con me?»

Len rimase immobile. Non disse niente per un lungo momento, non batte neppure ciglio, e poi rispose:

«No, non posso». Si scosto da Esau. «Non adesso».

«Forse l’anno prossimo. Gli parlero di te».

«Si, forse».

Esau cerco di dire qualche altra cosa, ma parve non trovare le parole adatte. Len si scosto di qualche altro passo da lui. Comincio a salire l’argine, dapprima lentamente, e poi piu in fretta, e infine si mise a correre, con gli occhi pieni di lacrime calde, brucianti, e la mente in tumulto, con una voce che gli gridava silenziosamente, Vigliacco, vigliacco, lui va a Bartorstown e tu non hai il coraggio di farlo!

Non si volto indietro.

Il signor Hostetter rimase per tre giorni a Piper’s Run. Furono i giorni piu lunghi e piu difficili della giovane vita di Len. La tentazione continuava a mormorargli, insinuante. Puoi ancora andare, sei in tempo. E allora la Coscienza gli additava mamma e papa, la casa e il dovere, e la cattiveria di andarsene, di scappare senza una parola. Esau non aveva degnato neppure di un pensiero lo zio David e la zia Maria, ma Len non poteva comportarsi allo stesso modo con papa e mamma. Sapeva che la mamma avrebbe pianto, e che papa si sarebbe assunto l’intera colpa, tormentandosi al pensiero di non essere stato capace di educare Len, e questa era la causa maggiore della sua mancanza di coraggio. Non voleva avere la responsabilita di rendere infelici i suoi genitori.

C’era anche una terza voce, in lui. Viveva nell’oscurita, celata dietro le altre, e non aveva nome. Era una voce che non aveva mai sentito prima, e che diceva soltanto, No… pericolo! ogni volta che pensava di andarsene con Esau dal signor Hostetter. Questa voce si mise a parlare cosi forte, e con tanta fermezza, senza essere interrogata, che Len non riusci a ignorarla, e infatti quando tento di non farci caso si trasformo quasi in una costrizione fisica, simile alle redini di un cavallo, che lo spingeva da una parte o dall’altra, gli imponeva una parola o un’azione, impedendogli di fare qualcosa di definitivo, di compromettersi oltre ogni possibilita di ritorno. Fu il primo incontro attivo con il suo subcosciente, e Len non l’avrebbe mai piu dimenticato.

Gironzolo per tutto il tempo per la fattoria, cupo, pensieroso, imbronciato, sotto il peso del suo segreto, sbrigando le diverse faccende e trovando tutte le scuse possibili per non andare in citta quando la famiglia vi andava, e la mamma comincio a preoccuparsi, e lo imbotti di tisane e di consigli. E per tutto il tempo le sue orecchie rimasero tese, vibranti come quelle di un animale dei boschi, in attesa di udire il rumore degli zoccoli di un cavallo sulla strada, in attesa di sentire la voce trafelata dello zio David annunciare che Esau se ne era andato.

Alla sera del terzo giorno senti finalmente il rumore di zoccoli di cavalli, zoccoli che si avvicinavano velocemente. In quel momento stava aiutando la mamma a sparecchiare la tavola, e la luce era ancora discreta nel cielo, rosseggiante con riflessi violacei a ponente. I suoi nervi si tesero con un’intensita quasi dolorosa. I piatti diventarono scivolosi e troppo pesanti, nelle sue mani. Il cavallo svolto all’ingresso, entrando nell’aia, con il carro rumoreggiante sui sassi, e poi un secondo cavallo e un altro carro, e ancora un altro cavallo e un altro carro. Papa ando ad affacciarsi alla porta, e Len lo segui, con un senso di infinita stanchezza, con una specie di malessere che si era impadronito improvvisamente di lui. Si era aspettato un cavallo e un carro, per l’arrivo dello zio David, ma tre…

Lo zio David era la, certo, e sedeva sul suo carro, ed Esau era accanto a lui, immobile e bianco come un lenzuolo, e il signor Harkness sedeva dall’altro lato. Il signor Hostetter era sul secondo carro, con il signor Nordholt, il maestro di scuola, e il signor Clute che teneva le briglie. Il terzo carro era occupato dal signor Fenway e dal signor Glasser.

Lo zio David scese dal carro. Rivolse un cenno a papa, che si era gia incamminato verso i carri. Il signor Hostetter li raggiunse, e poi il signor Nordholt e il signor Glasser. Esau rimase seduto dove si trovava. Aveva la testa curva sul petto, e non la alzo. Il signor Harkness fisso Len, che era rimasto fermo sulla soglia. Il suo sguardo era offeso, sdegnato, accusatore, e triste. Len lo sostenne per una frazione di secondo, e poi abbasso gli occhi. Ora si sentiva scosso, il malessere era insostenibile, e c’era freddo, malgrado la tiepida sera di giugno, un gran freddo che pareva quello del bosco quando il ghiaccio aveva rivestito di scintille gli alberi e il terreno. Avrebbe voluto voltarsi e mettersi a correre e fuggire, ma sapeva che sarebbe stato inutile.

Gli uomini si avvicinarono, insieme, al carro dello zio David, e lo zio David disse qualcosa a Esau. Esau continuo a fissarsi le mani. Non parlo, non mosse il capo, e il signor Nordholt disse:

«Non intendeva dirlo, gli e solo sfuggito. Ma l’ha detto».

Papa si volto, guardo Len, e disse:

«Vieni qui».

Len si mosse, lentamente. Non alzo il capo per guardare papa, non per la collera che avrebbe potuto leggere sul suo volto, ma per l’espressione triste e addolorata che vi avrebbe trovato.

«Len».

«E vero che avete una radio?»

«Io… si».

«Tu hai letto certi libri che sono stati rubati? Sapevi dov’erano, e non l’hai detto al signor Nordholt? Sapevi quello che Esau intendeva fare, e non l’hai detto ne a me, ne allo zio David?»

Len sospiro. Con un gesto curiosamente simile a quello di un uomo vecchio e stanco, sollevo il capo, e sollevo le spalle.

«Si,» disse. «Ho fatto tutte queste cose».

Il volto di papa, nelle ombre, del tramonto che incupivano l’aria, si era trasformato in qualcosa di grigio e strano, qualcosa che pareva di granito.

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