«Benissimo,» disse. «Benissimo».

«Potete venire con noi,» disse il signor Glasser. «Per una distanza cosi breve, inutile preparare il vostro carro».

«Va bene,» disse papa. E lancio a Len uno sguardo gelido e imperioso, che voleva dire, Vieni Con Me.

Len lo segui. Passo davanti al signor Hostetter, che era in piedi, con la testa girata, e sotto la tesa del suo cappello, Len credette di scorgere un’espressione di pieta e di rammarico. Ma passarono senza parlare, ed Esau non si mosse neppure. Papa sali sul carro, con il signor Fenway, e il signor Glasser sali dopo di lui.

«Dietro,» ordino papa.

Len si isso pesantemente sul carro, e ogni movimento fu uno sforzo impietoso, per lui. Rimase aggrappato la, e i carri ripartirono in fila, uscirono dall’aia e attraversarono la strada contornando il campo occidentale, dirigendosi verso i boschi.

Si fermarono la dove crescevano i sommacchi. Scesero tutti, e gli uomini parlarono tra di loro. E poi papa si volto e disse:

«Len!» Punto il braccio verso i boschi. «Mostraci dov’e.»

Len non si mosse.

Esau parlo, per la prima volta.

«Tanto vale che tu lo faccia,» disse, con una voce carica di odio. «Lo troveranno comunque, anche se dovranno bruciare l’intero bosco».

Lo zio David lo zitti, con uno schiaffo sulla bocca, e lo chiamo con un appellativo di collera biblica.

Papa disse, di nuovo:

«Len».

Len si arrese. Guido il gruppo di uomini nei boschi. E il sentiero pareva sempre lo stesso, e cosi pure gli alberi, e il ruscello, e le familiari macchie di stramoni. Ma qualcosa era cambiato. Qualcosa era scomparso. Erano soltanto alberi, adesso, e stramoni, e il letto sassoso di un rivoletto d’acqua. Non appartenevano piu a lui, non erano piu il mondo che si faceva bianco di neve e scintillante di ghiaccio e fiammeggiante d’autunno e verdeggiante di tenera primavera. Tutte quelle cose erano chiuse e distanti, e i contorni erano aspri e duri, e i pesanti stivali degli uomini schiacciavano le felci.

Uscirono dagli stramoni nel punto in cui le acque dei due fiumi si riunivano. Len si fermo accanto all’albero cavo.

«Qui,» disse. La sua voce parve strana e diversa, nelle sue orecchie. L’ardore rosso di ponente giungeva chiaro in quel luogo, attraverso le acque e il cielo, dipingendo le foglie e l’erba di un verde livido, dando al bruno Pymatuning riflessi di rame. In alto dei corvi ritornavano a casa, in un lento, grave battito d’ali, lanciando durante il volo le loro risate di scherno. Len penso che stessero ridendo di lui.

Lo zio David diede una spinta sgarbata, violenta a Esau.

«Tirala fuori».

Esau rimase per un momento immobile accanto all’albero. Len lo osservo, e vide l’espressione che egli aveva, nella luce del tramonto. I corvi se ne andarono, e ci fu silenzio.

Esau infilo la mano nel cavo dell’albero. Tiro fuori i libri, avvolti nel telo, e li porse al signor Nordholt.

«Sono intatti,» disse.

Il signor Nordholt apri il telo, scostandosi dall’ombra dell’albero, per vedere meglio.

«Si,» disse. «Si, sono intatti». Li avvolse di nuovo, gelosamente, e li tenne appoggiati al petto.

Esau tiro fuori la radio.

Rimase cosi, tenendola stretta, e improvvisamente gli occhi gli si riempirono di lacrime, lacrime che scintillavano ma non cadevano. Gli uomini erano adesso esitanti. Il signor Hostetter disse, come se avesse gia detto la stessa cosa piu di una volta, ma avesse avuto paura che qualcuno non l’avesse capita:

«Soames mi aveva chiesto, nel caso gli fosse accaduto qualcosa, di prendere i suoi effetti personali e consegnarli a sua moglie. Mi aveva mostrato il cofano nel quale li conservava. La gente che era andata alla predica stava per assalire e bruciare il suo carro. Non ho avuto certo il tempo di fermarmi per vedere che cosa ci fosse nel cofano».

Lo zio David fece un passo avanti. Egli fece cadere la radio dalle mani di Esau, con un colpo violento, calando il pugno come un maglio. La radio cadde nel terriccio erboso e nel muschio, ed egli la calpesto, con il suo stivale pesante, molte, molte volte. Poi raccolse cio che ne restava, e getto i resti nelle acque brune del Pymatunin.

Esau disse:

«Ti odio. Vi odio tutti». Li guardo uno dopo l’altro. «Non potete fermarmi. Nessuno di voi puo farlo. Un giorno andro a Bartorstown».

Lo zio David lo colpi di nuovo, e lo prese per i capelli, e lo fece voltare, spingendolo verso gli alberi. Senza voltarsi, disse:

«Pensero io a lui».

Gli altri lo seguirono in fila, dopo che il signor Harkness ebbe frugato nel cavo dell’albero, per assicurarsi che non vi fosse rimasto qualche altro frutto proibito. E il signor Hostetter disse:

«Chiedo che il mio carro venga perquisito».

Il signor Harkness disse:

«Vi conosciamo da tantissimo tempo, Ed. Non credo che questo sia necessario».

«No, lo esigo,» disse Hostetter, parlando forte, in modo che tutti potessero sentire. «Questo ragazzo ha fatto un’accusa che non posso lasciar passare. Chiedo che il mio carro venga perquisito, da cima a fondo, in modo che non possano sussistere dubbi sul fatto che io possieda qualcosa che non dovrei avere. I sospetti, una volta avviati, sono difficili da eliminare, e le notizie viaggiano. Non posso permettere che altre persone pensino di me quello che pensavano di Soames».

Un brivido percorse Len. Si accorse, improvvisamente, che Hostetter stava offrendo, nello stesso tempo, una spiegazione e delle scuse.

Comprese anche che Esau aveva commesso un errore fatale.

Il viaggio di ritorno, attraverso il campo occidentale, parve molto, molto lungo. Questa volta i carri non entrarono nell’aia. Si fermarono nella strada, e Len e papa scesero, e gli altri si disposero diversamente, in modo che Esau e lo zio David rimanessero soli sul loro carro. Poi il signor Harkness disse, quando tutto fu pronto:

«Domani desideriamo vedere i ragazzi». La sua voce era calma, una calma minacciosa come quella che precedeva un temporale. Tiro le redini, e il carro si mosse verso il villaggio, seguito dal secondo carro. Lo zio David si diresse dall’altra parte, verso la sua casa.

Esau si sporse dal carro, e grido, in tono isterico, a Len:

«Non ti arrendere. Non possono costringerti a smettere di pensare. Non importa quello che possono farti, ma non riusciranno a…».

Lo zio David giro il carro, e lo fece entrare nell’aia della fattoria.

«La vedremo,» disse. «Elia, voglio usare il tuo fienile».

Papa si acciglio, ma non disse niente. Lo zio David attraverso l’aia, dirigendosi verso il fienile, spingendo rudemente Esau davanti a se. La mamma usci di corsa dalla casa. Lo zio David chiamo:

«Tu porta qui Len. Voglio che ci sia anche lui».

Papa si acciglio di nuovo, e poi disse:

«Va bene».

Tese le mani, come per arrestare la mamma, e la prese in disparte, e le mormoro qualche parola, a bassa voce, scuotendo il capo. La mamma guardo Len.

«Oh, no,» disse. «Oh, Lennie, come hai potuto!»

Poi si volto, e rientro precipitosamente in casa, nascondendosi il viso nel grembiule, e Len capi che stava piangendo. Papa indico il fienile. Aveva le labbra strette, ed era molto pallido. Len penso che a papa non piaceva quello che lo zio David stava per fare, ma che non se la sentiva di discutere.

Neppure a Len piaceva. Avrebbe preferito che la cosa fosse risolta tra lui e papa. Ma quel modo di fare era proprio dello zio David. Lui pensava sempre che un ragazzo non aveva piu diritti, o piu sensibilita, di qualsiasi altro oggetto o animale della fattoria. Len tremava, al pensiero di entrare nel fienile.

Papa punto di nuovo il braccio, e Len obbedi.

Era buio, adesso, ma nel fienile era gia accesa una lanterna. Lo zio David aveva staccato dal chiodo la cinghia di cuoio. Esau era di fronte a lui, nell’ampio spazio libero tra le file di sostegni vuoti.

«In ginocchio,» disse lo zio David.

«No».

«In ginocchio!» E la cinghia schiocco.

Esau emise un suono, tra il lamento e l’imprecazione. Si inginocchio.

«Non rubare,» disse lo zio David. «Questo e il comandamento, e tu mi hai fatto diventare il padre di un ladro. Non dire falsa testimonianza. Tu mi hai fatto diventare il padre di un bugiardo». Il suo braccio si alzava e si abbassava, scandendo le parole, cosi che ogni pausa era sottolineata dal secco whuk! del cuoio contro le spalle di Esau. «Tu sai cosa e scritto nel Libro, Esau. Chi ama suo figlio lo castiga; chi odia suo figlio risparmia la frusta. E io non intendo risparmiarla».

Esau non seppe tacere piu a lungo. Len volto le spalle.

Dopo qualche tempo, lo zio David si fermo, respirando affannosamente.

«Qualche tempo fa mi hai sfidato. Hai detto che non avrei potuto farti cambiare idea. La pensi ancora cosi?»

Rannicchiato sul pavimento, Esau grido a suo padre:

«Si!»

«Pensi ancora di andare a Bartorstown?»

«Si!»

«Bene,» disse lo zio David. «Vedremo».

Len cerco di chiudersi le orecchie, di non ascoltare. Pareva che non dovesse mai finire. A un certo punto, papa fece un passo avanti, e disse:

«David…».

Ma lo zio David disse soltanto:

«Pensa a tuo figlio, Elia. Ti avevo sempre detto che eri troppo tenero con lui». Si rivolse di nuovo a Esau, «Hai cambiato idea, ora?»

La risposta di Esau fu inintelligibile, ma il tono era quello di una resa abietta.

«Tu!» disse improvvisamente lo zio David a Len, prendendolo per il braccio. «Guardalo, e impara come finiscono l’arroganza e l’insolenza».

Esau stava strisciando e gemendo sul pavimento del fienile, tra la polvere e il fieno. Lo zio David lo fece girare, con la punta dello stivale.

«Pensi ancora di andare a Bartorstown?»

Esau gemeva e piangeva, tenendosi il volto nascosto tra le mani. Len cerco di liberarsi e voltarsi, ma lo zio David lo tenne fermo, con una stretta violenta e irresistibile. Dal suo corpo emanava un odore di sudore e di collera.

«Ecco il tuo eroe,» disse a Len. «Ricordalo, ricordalo bene, quando verra il tuo turno».

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