«Lasciami andare,» bisbiglio Len. Lo zio David rise. Spinse via Len, e consegno a papa la cinghia di cuoio. Poi si piego, e prese Esau per il colletto della camicia, e lo costrinse ad alzarsi in piedi.

«Dillo, Esau. Dillo forte».

Esau singhiozzava come un bambino piccolo.

«Sono pentito,» disse. «Sono pentito».

«Bartorstown,» tuono lo zio David, nello stesso tono col quale Nahum doveva avere pronunciato la condanna della citta maledetta. «Esci! Vieni a casa, a meditare sui tuoi peccati. Buonanotte, Elia, e ricorda… tuo figlio e colpevole quanto il mio».

Uscirono, nel buio della notte. Un minuto piu tardi, Len senti che il carro si allontanava.

Papa sospiro. Il suo volto era triste e stanco, e profondamente irato, una collera che era molto piu spaventosa di quella violenta dello zio David. Disse, lentamente:

«Ho avuto fiducia in te, Len. Mi hai tradito».

«Non volevo farlo».

«Ma l’hai fatto».

«Si».

«Perche, Len? Sapevi che queste cose erano cattive. Perche le hai fatte?»

Len grido:

«Perche non ho potuto evitarlo! Io voglio imparare, io voglio sapere

Papa si tolse il cappello, e si rimbocco le maniche.

«Potrei fare una lunga predica su questo argomento,» disse. «Ma l’ho gia fatto, ed e stato tutto fiato sprecato. Ricordi quello che ti ho detto allora, Len?»

«Si, papa». Strinse la mascella e serro i pugni.

«Mi dispiace,» disse papa. «Non avrei mai voluto fare questo. Ma devo purgarti del tuo orgoglio, Len, come e stato purgato Esau».

Dentro di lui, Len disse, con fierezza, No, non lo farai non riuscirai a farmi strisciare ai tuoi piedi. Non rinuncero a Bartorstown e ai libri e alla speranza di conoscere tutte le cose che esistono nel mondo, fuori da Piper’s Run!

Ma vi rinuncio. Nella polvere e nel fieno del fienile, egli rinuncio a tutte quelle cose, e al suo orgoglio con esse. E quella fu la fine della sua fanciullezza.

7.

Aveva dormito, per un poco, un sonno nero e profondo, e poi si era svegliato di nuovo a fissare le tenebre, a sentire il dolore, e a pensare. Il corpo gli doleva, non del familiare dolore di una bastonatura, ma in modo grave, che non avrebbe dimenticato in fretta. Il male piu profondo era quello che soffrivano le parti immateriali del suo essere, e cosi rimase disteso nel buio, a lottare con quella sofferenza, nella piccola stanza sbilenca sotto il grondone, che era ancora soffocante per il sole del lungo pomeriggio. Arrivo quasi l’alba, prima che le cose sorgessero chiare dalla cieca furia del dolore e della collera, del risentimento e della vergogna che turbinavano in lui come venti impetuosi in uno spazio angusto. Poi, forse perche era troppo esausto per essere ancora violento, comincio a vedere qualcosa, e a capire.

Capi che quando aveva singhiozzato nelle tracce lasciate da Esau, nella polvere e nel fieno, e quando aveva conosciuto l’abiezione della rinuncia e della resa, aveva mentito. Perche lui non intendeva rinunciare a Bartorstown. Non poteva rinunciare, senza rinunciare anche alla parte piu importante di se stesso. Non sapeva ancora, con esattezza, quale fosse quella parte cosi importante, ma sapeva che c’era, e sapeva anche che nessuno, neppure papa, aveva il diritto di mettere le mani su quella cosa preziosa. Buona o cattiva, giusta o peccaminosa, quella parte di lui si trovava al di la del capriccio passeggero, o dell’atteggiamento, o del gioco fuggevole. Era lui stesso, Len Colter, l’entita individuale, unica, che corrispondeva a quel nome. Non poteva rinunciare a essa e nello stesso tempo continuare a vivere.

Quando ebbe infine compreso tutto questo, si addormento di nuovo, un sonno piu calmo, e si sveglio col sapore amaro delle lacrime in bocca, e vide la finestra chiara e luminosa e il sole che sorgeva all’orizzonte. L’aria era piena di suoni, il grido dei merli e il richiamo impetuoso dei fagiani tra le siepi, il cinguettare di innumerevoli uccelli che iniziavano la loro giornata. Len guardo fuori, oltre il tronco annerito dal fulmine di un acero gigantesco, che aveva un’indomabile sporgenza verdeggiante che continuava a uscire dal tronco rinsecchito, guardo oltre la tettoia del pollaio e la distesa familiare dei campi, la dove il grano maturava al sole; osservo il pendio delle colline e i boschi alti che s’inerpicavano fino alla cresta incoronata da tre grandi pini neri. E una cupa malinconia scese su di lui, perche stava guardando quelle cose buone per l’ultima volta. Non arrivo a quella decisione seguendo una linea di ragionamento consapevole. La conobbe, semplicemente, e immediatamente, nel momento stesso del suo risveglio.

Si alzo, e, ancora tutto indolenzito e rigido, comincio a sbrigare le sue faccende, pallido e remoto, parlando solo quando qualcuno gli rivolgeva una domanda, evitando lo sguardo della gente. Con la sua ruvida gentilezza, suo fratello James cerco di consolarlo, quando pote parlargli lontano dalle orecchie di papa:

«E per il tuo bene, Lennie, e un giorno ripenserai a queste cose e sarai lieto di essere stato fermato in tempo. Dopotutto, non e la fine del mondo, no?»

Oh, si, invece, penso Len. E tutti lo sanno.

Dopo il pranzo, a mezzogiorno, gli dissero di salire a lavarsi e a indossare il vestito che, generalmente, lui portava soltanto al sabato. E poco tempo dopo la mamma sali da lui, con una camicia pulita, ancora calda del ferro, e finse di guardare rigidamente un punto remoto, alle sue spalle. E nel frattempo le lacrime scendevano furtive dai suoi occhi, e lei non se ne accorgeva, e poi d’un tratto lo abbraccio e l’attiro a se e disse rapidamente, in un bisbiglio:

«Come hai potuto farlo, Lennie, come hai potuto essere cosi cattivo, e offendere il buon Dio, e disobbedire a tuo padre?»

Len senti che le sue difese cominciavano a sgretolarsi. Tra un minuto avrebbe cominciato a piangere tra le braccia della mamma, e tutta la sua determinazione se ne sarebbe andata, per il momento. Cosi la respinse, e disse:

«Ti prego, mamma, mi fai male».

«La tua povera schiena!» mormoro lei. «Avevo dimenticato». Gli prese le mani, allora. «Lennie, sii umile, sii paziente, e vedrai che passera tutto. Dio ti perdonera certamente, sei cosi giovane, e lui e cosi buono. Sei troppo giovane per capire…».

Papa sali le scale, e il suo arrivo pose fine a quelle parole. Dieci minuti dopo il carro sobbalzava e rumoreggiava, uscendo dall’aia, e Len sedeva rigido al fianco di suo padre, e nessuno dei due parlava. E Len pensava a Dio, a Satana, e agli anziani del villaggio, e al predicatore, a Soames e a Hostetter e a Bartorstown, e tutto era terribilmente confuso, ma lui sapeva una cosa. Dio non lo avrebbe perdonato. Aveva scelto la via del trasgressore, ed era dannato, al di la di ogni speranza. Ma avrebbe avuto Bartorstown, per tenergli compagnia.

Il carro dello zio David si accodo al loro, e andarono insieme al villaggio, con Esau rannicchiato in un angolo, molto piccolo e molto abbattuto, come se tutte le ossa fossero state tolte dal suo corpo. Quando giunsero nella casa del signor Harkness, papa e lo zio David scesero, e cominciarono a parlare tra loro, lasciando a Len e a Esau il compito di legare i cavalli. Esau non si volto a guardare Len. Evito in qualsiasi modo di guardarlo. Neppure Len lo guardo. Ma erano fianco a fianco, e Len disse, imperiosamente, in un bisbiglio:

«Ti aspetto al solito posto; fino a quando sara spuntata la luna, saro la. Poi me ne andro».

Si accorse che Esau s’irrigidiva e trasaliva. Prima che Esau potesse aprire la bocca, Len sibilo, «Zitto!», poi si volto e torno indietro, mettendosi rispettosamente dietro a suo padre.

Ci fu poi una seduta molto lunga e molto sgradevole nel salotto della casa del signor Harkness. C’erano anche il signor Fenway, il signor Glasser, e il signor Cluter e naturalmente il signor Nordholt. Quando ebbero finito, Len ebbe la sensazione di essere stato spellato e rivoltato, come un coniglio sull’aia. Questa sensazione lo fece andare in collera. Lo indusse a odiare tutti quegli uomini barbuti, che parlavano lentamente e gravemente, e che lo spellavano, lo pungevano, lo tormentavano.

Per due volte si accorse che Esau era sul punto di tradirlo, e si preparo a dare del bugiardo a suo cugino. Ma Esau riusci a tenere a freno la lingua, e dopo qualche tempo Len ebbe l’impressione di veder tornare un poco di volonta nella spina dorsale del cugino.

L’esame fini, come Dio volle. Gli uomini si riunirono, e conferirono gravemente tra loro. Alla fine il signor Harkness disse a papa e allo zio David:

«Sono addolorato che questa disgrazia sia ricaduta su di voi, perche siete entrambi bravi uomini e vecchi amici. Ma forse questo servira a ricordare a tutti che i giovani costituiscono sempre un pericolo, e non ci si deve fidare di loro, e che una vigilanza costante e il prezzo di un’anima cristiana».

Si rivolse poi, molto severamente, ai ragazzi:

«Per voi, ci sara una fustigazione pubblica, sabato mattina. E poi, se sarete scoperti in colpa una seconda volta, sapete bene quale sara la punizione che dovra ricadere sulle vostre teste».

Aspetto. Esau si guardo gli stivali. Len fisso con fermezza un punto della parete, dietro la testa del signor Harkness.

«Ebbene,» disse seccamente il signor Harkness. «Lo sapete o no?»

«Si,» disse Len. «Ci farete andare via, e non potremo mai piu ritornare». Guardo negli occhi il signor Harkness, e aggiunse, «Non ci sara una seconda volta».

«Lo spero con tutto il cuore,» disse il signor Harkness. «E raccomando a entrambi di leggere molto la vostra Bibbia, di meditare, e pregare, affinche Iddio vi dia la saggezza, insieme al perdono».

Ci furono altre consultazioni tra gli anziani, e poi i Colter uscirono, e salirono sui loro carri, e si avviarono di nuovo verso casa. Passarono davanti al carro del signor Hostetter in piazza, ma il signor Hostetter non era in vista.

Papa rimase in silenzio per quasi tutta la strada, con una sola eccezione. A un certo punto disse, infatti:

«Mi ritengo colpevole quanto te, Len».

«Sono stato io a farlo,» disse Len. «Non e stata colpa tua, papa. Non puoi dire questo».

«Ho sbagliato qualcosa. Non ti ho saputo insegnare le cose giuste, non sono riuscito a farti comprendere. A un certo punto, non so dove, ti sei allontanato da me». Papa scosse il capo. «Temo che David abbia ragione. Ho troppo risparmiato la frusta».

«Esau era molto piu colpevole,» disse Len, quietamente. «E stato lui a rubare la radio, eppure tutte le bastonature dello zio David non sono riuscite a fermarlo. Non e stata colpa tua in nessun modo, papa. E stata tutta colpa mia». Si sentiva molto male. Chissa perche, sapeva che era questa la sua vera colpa, e non poteva farci niente.

«James non si e mai comportato cosi», disse papa tra se, pensieroso. «Non mi ha dato mai alcuna preoccupazione. Com’e possibile che lo stesso seme possa produrre due frutti cosi diversi?»

Non si dissero altro. Quando tornarono a casa, la mamma, la nonna e James li stavano aspettando. Len venne mandato nella sua camera, e mentra saliva le scale pote sentire papa che narrava in breve quello che era accaduto, e il breve singhiozzo della mamma. E d’un tratto udi la voce della nonna, alta e acuta, quasi stridula, pervasa da una collera tremenda.

«Sei uno stupido e un vigliacco, Elia. Ecco cosa siete tutti, degli stupidi e dei vigliacchi, e il ragazzo vale piu di tutti voi messi assieme! Avanti, spezza il suo spirito, se ci riesci, ma spero che tu non ci riesca mai. Spero che tu non gli possa mai insegnare ad avere paura di conoscere la verita».

Len sorrise e un brivido lo pervase, perche sapeva che la nonna aveva parlato cosi forte per farsi sentire anche da lui, e non solo da papa. Stai tranquilla, nonna, penso. Non lo dimentichero.

Quella notte, quando la casa fu immersa nella profonda quiete del sonno, Len si lego al collo gli stivali, e scavalco la finestra fino a scendere sulla tettoia della cucina estiva, e di la raggiunse il ramo di un pero, per scivolare infine a terra lungo il tronco rugoso. Usci furtivamente dall’aia e attraverso la strada, e quando fu sul bordo della strada infilo gli stivali. Poi s’incammino costeggiando il

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