Nordholt, o dai signori Glasser, Clute e Fenway. Dovete chiedere ai vostri genitori di comportarsi allo stesso modo. Avete capito bene?»

«Si, signor Harkness».

«E ora, preghiamo. O Dio, che conosci tutte le cose, perdona il bambino o l’uomo che ha violato il Tuo comandamento che proibisce di rubare. Accompagna la sua anima in modo che si allontani dai sentieri del male, e imbocchi la via dell’onesta, e preparalo a sopportare con rassegnazione il castigo…».

Ritornando a casa, Len arrischio una puntata nei boschi, correndo per compensare la maggiore distanza da percorrere. Il sole aveva sciolto una piccola parte dell’armatura di ghiaccio che aveva avvolto ogni cosa, ma lo scintillare era ancora vivido, e il riverbero gli faceva dolere gli occhi, e il terreno era una lastra di ghiaccio, scivoloso e infido. Quando raggiunse il vecchio albero cavo era stanco, ansava pesantemente, e tremava in tutto il corpo per la fatica.

C’erano tre libri nel cavo dell’albero, avvolti in uno straccio di tela, accanto alla radio, all’asciutto e al sicuro. Le copertine e la carta all’interno lo affascinarono, con i colori sbiaditi che colpivano l’occhio, e la trama inconsueta al tatto. In quei libri c’era qualcosa di strano e indefinibile… qualcosa che li rendeva singolarmente simili alla radio.

Uno era un libro verde scuro intitolato Fisica Elementare. Un altro era sottile e bruno, con un lungo titolo: Introduzione alla Radioattivita e alle Scienze Nucleari. Il terzo era grosso e grigio, e si chiamava Storia degli Stati Uniti. Le parole dei primi due titoli non dicevano nulla a Len, tranne che vi riconosceva la parola Radio. Volto le pagine, in fretta, con dita che tremavano, cercando di assorbire tutto con un solo sguardo, e vedendo soltanto stampa e disegni strani e confusi. Qua e la, sulle pagine, qualcuno aveva sottolineato, oppure scritto a margine: «Lunedi esperimento», o «Fino a qui», o «Scrivere per richieste al solito indirizzo».

Len avverti un desiderio insaziabile di sapere, una frenesia che non aveva mai conosciuto in passato, perche nulla l’aveva fatta salire alla superficie del suo essere. Quei desideri erano violenti, gli salivano alla testa, cosi forti da farlo soffrire. Voleva leggere. Voleva prendere i libri e avvolgersi in essi e assorbirli fino all’ultima parola e all’ultima figura. Sapeva benissimo quale fosse il suo dovere, ma non lo fece, non l’avrebbe mai potuto fare. Avvolse amorevolmente i libri nel telo, e li rimise al loro posto, con prudenza, nell’incavo dell’albero. Poi si lancio di nuovo di corsa nei boschi, sulla strada di casa, e la sua mente cominciava a tessere stratagemmi per ingannare papa e per dare un aspetto innocente ai suoi colpevoli viaggi nei boschi. La sua coscienza mando un solo pigolio, non piu acuto di quello di un pulcino di un giorno, e poi tacque.

5.

Esau stava per scoppiare in lacrime. Abbasso rabbiosamente il libro che teneva in mano, e disse, furibondo:

«Non capisco cosa significhino le parole, e allora a che cosa mi serve? Semplicemente, ho corso un grosso rischio per niente!»

Aveva letto e riletto il libro di fisica, e quello sulla radioattivita, che successivamente era stato messo in disparte, perche apparentemente non aveva niente a che fare con le radio, e comunque era incomprensibile, dalla prima all’ultima riga. Ma il libro di fisica… un altro bizzarro uso della parola, che per poco non aveva indotto Esau a non prenderlo, quando aveva cercato nella biblioteca del signor Nordholt… conteneva una parte che riguardava le radio. L’avevano letta e riletta, scambiandosi opinioni e commenti, fino a quando le parole strane e impronunciabili non si erano impresse nelle loro menti, fino a quando essi non furono in grado di tracciare diagrammi di onde e circuiti, triodi e oscillatori, anche in sogno… senza capire neppure lontanamente quale fosse il loro significato.

Len raccolse il libro, che Esau aveva lasciato cadere a terra, e ripuli la copertina dal terriccio. Poi lo apri di nuovo, guardo una pagina, e scosse il capo. Disse, amaramente:

«Non dice come fa a uscire la voce».

«No. E non dice nemmeno a che cosa servono i bottoni e il rocchetto». Esau rigiro la radio tra le mani, con aria sepolcrale. Sapevano, ormai, che uno dei bottoni serviva a renderla rumorosa o quieta… viva o morta, pensava inconsciamente Len. Ma tutti gli altri bottoni rimanevano un mistero. Rendendo il rumore molto sommesso, e avvicinando la radio all’orecchio, avevano appreso che il suono usciva da una delle aperture. A che cosa servissero le altre due era un altro mistero. Nessuno dei bottoni, o delle aperture, assomigliava agli altri bottoni o alle altre aperture, e cosi era logico sospettare che tutti servissero a differenti propositi. Len era sicurissimo che una delle aperture servisse a fare uscire il calore, come il ventilatore nei fienili, perche appoggiando la mano sull’apertura si poteva avvertire un certo aumento del calore, dopo qualche tempo. Ma questo lasciava ancora molti misteri insoluti, uno dei quali era l’enigmatico rocchetto di filo metallico. Tese le mani, e prese la radio da Esau, perche gli piaceva tenerla tra le mani, per quella specie di fremito sommesso che la pervadeva, qualcosa di simile a una macchia d’erba di palude nel vento.

«Il signor Hostetter deve sapere come funziona,» disse.

Erano ormai sicuri, in cuor loro, che il signor Hostetter, come il signor Soames, fosse venuto da Bartorstown.

Esau disse:

«Si. Ma non possiamo chiederglielo».

«No».

Len continuava a rigirare la radio tra le mani, accarezzando i bottoni, il rocchetto, le aperture. Un vento gelido faceva sbattere i rami nudi degli alberi, sopra le loro teste. C’era del ghiaccio nel Pymatuning, e il tronco caduto sul quale il ragazzo sedeva era freddo e pungente come se fosse stato anch’esso di ghiaccio.

«Mi chiedo se, forse…» comincio, lentamente.

«Si?»

«Be’, se parlano tra loro con queste radio, non lo faranno certo di giorno, vero? Voglio dire… di giorno la gente potrebbe sentirli. Se fossi io, aspetterei fino a notte, quando la gente dorme».

«Be’, non sei tu a farlo,» disse Esau, acidamente. Ma riflette su quelle parole, e gradualmente l’idea si fece strada nella sua mente. «Pero scommetto che hai ragione. Scommetto che fanno proprio cosi! Noi l’abbiamo maneggiata solamente di giorno, e naturalmente di giorno loro non parlano. Prova a immaginare il signor Hostetter, intento a parlare per radio di giorno, nella piazza del mercato, con tutta la gente intorno, e tanti ragazzi pronti a intrufolarsi in tutti i carri!»

Si alzo in piedi, e comincio a camminare su e giu per la radura, soffiandosi sulle dita intirizzite per scaldarsi.

«Dobbiamo fare dei piani, Len. Dobbiamo riuscire a venire qui durante la notte».

«Si,» disse Len, entusiasta, e immediatamente si penti di quanto aveva detto. Non sarebbe stata un’impresa cosi facile.

«Una caccia al tasso,» disse Esau.

«No. Mio fratello vorrebbe certamente venire… e anche mio padre».

La caccia all’opossum offriva gli stessi problemi, e la caccia al cervo era un avvenimento che non avrebbe attirato solamente papa e il fratello James, ma molte altre persone delle fattorie vicine.

«Be’, continua a pensarci». Esau comincio a riporre i libri e la radio nel nascondiglio. «Io devo tornare a casa».

«Anch’io». Len guardo con rimpianto il grosso volume di storia, desiderando di poterlo portare con se. Esau lo aveva preso, impulsivamente, perche vi aveva visto delle immagini di macchine. Era una lettura difficile, piena di nomi strani, e di molte cose che lui non riusciva a capire, ma lo tormentava, ogni volta che si soffermava a leggere qualcosa, dandogli la smania di leggere ancora, di sapere che cosa sarebbe venuto nelle pagine successive. «Forse la cosa migliore sarebbe quella di approfittare della prima occasione per scivolare fuori di casa, e venire qui, indipendentemente l’uno dall’altro. Se tentiamo di venire tutti e due, sara piu difficile».

«Nossignore! Io ho rubato la radio, e ho rubato i libri, e nessuno dovra sentire una voce senza che io sia qui!»

Aveva un aspetto cosi ferocemente deciso che Len si affretto a dirgli di si.

Esau si assicuro che tutto fosse a posto, e poi indietreggio. Guardo l’albero cavo, corrugando la fronte.

«Non credo che serva a molto ritornare qui, prima di allora. E ci sara da lavorare molto, tra poco, alla fattoria. Cominceranno a nascere gli agnelli, e poi…».

Con un’amarezza profonda e matura che sorprese Len, allora, Esau aggiunse, con forza:

«C’e sempre qualcosa, c’e sempre qualche ragione per cui non si puo sapere, o imparare, o fare qualcosa! Ne sono stanco. E che io sia dannato se intendo passare tutta la vita a questo modo, scavando letame e mungendo le vacche!»

Len ritorno a casa, camminando lentamente lungo il sentiero del bosco, riflettendo profondamente su quelle parole. Poteva sentire che qualcosa cresceva dentro di lui, qualcosa che stava crescendo anche nell’animo di Esau. Lo spaventava, questo. Non voleva che quella cosa oscura crescesse. Ma sapeva che, se avesse cessato di crescere, lui sarebbe stato parzialmente morto, non fisicamente, ma come le mucche e le pecore, che brucavano l’erba ma non si curavano di cio che la faceva crescere.

Questo accadeva alla fine di gennaio.

In febbraio, per tutta la campagna uomini e ragazzi andarono con succhielli, e altri attrezzi nei boschi di aceri. I primi segni della primavera imminente cominciarono a respirarsi nell’aria ancora fredda. L’ultima nevicata intensa venne, si accumulo sul terreno e sugli alberi, e si sciolse intiepidita dal nuovo sole. Ci fu un periodo nel quale gelate e disgelo si alternavano, e papa comincio a preoccuparsi per i nuovi germogli. Il vento soffiava gelido da nord-ovest, e pareva che la primavera non dovesse mai arrivare, ma era la, vicina. Il primo agnello venne al mondo belando. E, come aveva detto Esau, non c’era tempo per niente, all’infuori del lavoro.

I salici diventarono gialli, e poi di un verde pallido, piumoso. Ci furono alcune giornate tiepide, che toglievano le forze e rendevano sonnolenti e pigri, come le grosse bisce dei fossi che oziavano al sole. Nuovi vitelli schiamazzavano barcollando dietro le madri, e altri ne sarebbero ancora venuti. Le mucche erano nervose e agitate, e nella mente di Len comincio a formarsi un’idea. Era cosi semplice che si domando per quale motivo non gli fosse venuta in mente gia da molto tempo. Dopo avere sbrigato le faccende serali, quando suo fratello James ebbe chiuso il fienile, Len ritorno furtivamente indietro, e apri la porta sul retro. Un’ora dopo erano tutti fuori, nel buio e al freddo, per radunare le mucche che si erano disperse nella campagna, e quando, tornati indietro, le contarono, scoprirono che ne mancavano ancora due. Papa borbotto qualcosa, infuriato, contro la stupida ostinazione di certe bestie che preferivano scappare e nascondersi sotto un cespuglio, dove se accadeva loro qualcosa non c’era nessuno in grado di aiutarle. Diede una lanterna a Len, e gli disse di raggiungere di corsa la fattoria dello zio David, che si trovava a mezzo miglio di distanza, lungo la strada, per chiedere a lui e a Esau di venire ad aiutarli nelle ricerche. Fu cosi semplice, dopo tanti piani e tante preoccupazioni.

Len percorse quel mezzo miglio a passo veloce, con la mente intenta a prevedere le piu svariate possibilita, e a prepararsi ad affrontarle, con una prontezza all’inganno che non manco di spaventarlo. Era sempre stato piuttosto pigro, ma non era mai stato un bugiardo, ed era terribile scoprire con quanta rapidita si potessero imparare i vizi peggiori. Cerco di giustificarsi, pensando che in fondo non aveva mai detto a nessuno una bugia in modo diretto. Ma non serviva a niente. Era come uno di quei sepolcri imbiancati di cui si parlava nella Bibbia, belli all’esterno e pieni di corruzione dentro. E alla sua destra, mentre correva, vide i boschi rischiarati dal chiarore delle stelle, cupi e misteriosi nella notte.

La cucina della fattoria dello zio David era calda e accogliente. C’era odore di cavoli e di vapore e di stivali messi ad asciugare, e tutto era cosi lindo e pulito che Len esito a entrare, anche se si era pulito gli stivali sui gradini, fuori. C’era uno straccio messo davanti alla porta, e lui rimase fermo la sopra, riferendo il suo messaggio, tentando di riprendere fiato, e cercando, nello stesso tempo, di attirare l’attenzione di Esau senza assumere un atteggiamento troppo scopertamente colpevole. Lo zio David brontolo e impreco sommessamente, ma comincio a infilare gli stivali, e la zia Maria gli ando a prendere la giacca e la lanterna. Len respiro profondamente.

«Mi sembra di avere visto qualcosa di bianco muoversi nei campi, a ovest,» disse. «Avanti, Esau, andiamo a vedere!»

Ed Esau lo segui, con il cappello di traverso e un braccio ancora fuori della giacca. Corsero via, insieme, prima che lo zio David potesse pensare a fermarli e saltarono qua e la sopra le buche colmate dalla pioggia recente, tuffandosi nel campo occidentale, deviando sempre piu verso i boschi. Len nascose la lanterna sotto la giacca, in modo che lo zio David non potesse vederla dalla strada, quando entrarono veramente nei boschi, e continuo a tenerla nascosta per qualche tempo, dopo, sapendo che non c’era alcun pericolo di smarrirsi, anche al buio, su quel sentiero che conosceva bene come la propria casa.

«Dopo potremo dire che la lanterna si e spenta,» disse a Esau.

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