dei comunissimi tetti di comunissime casette, come Len ne aveva viste per tutta la vita, e penso che quelle case dovevano essere fatte di tronchi. Nella parte settentrionale della gola c’era una piccola diga dietro la quale era racchiuso un occhio di acqua azzurra. Accanto alla diga, su di un pendio, si vedevano due alti edifici dall’aspetto inconsueto. Accanto a questi, delle rotaie salivano e scendevano il pendio, conducendo da un buco nella roccia a un mucchio di materiale frantumato. C’erano dei piccoli carri, sulle rotaie. Ai piedi del pendio c’erano diversi altri edifici, bassi e piatti, questi, lievemente curvi, di un colore rugginoso. Dall’altro lato della diga, una breve strada portava a un altro buco nella roccia, ma non c’erano rotaie, ne carri, collegati a questo buco, e le rocce erano cadute fino a bloccare la strada.
Len vide delle persone. Del fumo usciva da alcuni comignoli. Diversi muli tiravano una processione di minuscoli carri sulle rotaie, lungo il pendio, e dopo qualche minuto un rumore gli giunse, ancora lontano, remoto come quello di un’eco.
Si volto, allora, e guardo Hostetter.
«Fall Creek,» disse Hostetter. «E una cittadina mineraria. Argento. Non della prima qualita, ma abbastanza buono, e in grande abbondanza. Continuiamo a estrarlo. Non c’e alcun segreto su Fall Creek, ne mai c’e stato.» Fece un ampio gesto con la mano, scuro in volto. «Noi viviamo qui.»
Len disse, lentamente:
«Ma non e Bartorstown.»
«No. E il nome non e esatto, inoltre. Non si tratta, in realta, di una vera citta.»
Ancora piu lentamente, Len disse:
«Papa mi disse che non esisteva alcun luogo simile. Mi disse che si trattava soltanto di un’idea, di un modo di pensare.»
«Tuo padre aveva torto. Esiste un luogo simile, ed e reale. Abbastanza reale, per far lavorare centinaia e centinaia di persone per tutta la vita.»
«Ma dove?» domando Esau, furioso. «Dove?»
«Hai aspettato tanto tempo. Puoi aspettare ancora qualche ora.»
Proseguirono la discesa, seguendo la tortuosa, ripida strada. L’ombra della montagna si allargo e riempi la gola, e comincio ad avvolgere la parete orientale, salendo incontro a loro. Piu in basso, sulla cresta di una vecchia cascata, alcuni pini raccoglievano la luce, e diventavano di un verde violento, troppo violento per i toni rossi e ocra della roccia.
Len disse:
«Fall Creek e un paese come tutti gli altri.»
«Non si puo uscire completamente dal mondo,» disse Hostetter. «Non si puo ora, e non si poteva neppure un tempo. Le case sono di tronchi e muratura perche era necessario costruirle con il materiale a disposizione. In origine, Fall Creek aveva l’elettricita, perche allora tutti l’avevano. Ora nessuno ce l’ha, e cosi non l’abbiamo. La cosa piu importante e di avere un aspetto normale, uguale a quello di tutti gli altri paesi: e allora nessuno fa caso a te, nessuno ti nota e ti sospetta.»
«Ma un posto veramente segreto,» obietto Len. «Un posto che nessuno conosceva.» Corrugo la fronte, cercando di comprendere l’enigma. «Un luogo del quale non osate far sapere nulla a nessuno, ora… eppure vivete cosi, apertamente, in un paese normale, servito da una strada agevole, e gli stranieri vanno e vengono liberamente.»
«Quando cominci a impedire alla gente di entrare, la gente pensera che tu abbia qualcosa da nascondere. Fall Creek e stata costruita per prima. Era stata costruita alla luce del sole. Le poche persone che vivevano in questa regione dimenticata da Dio si abituarono presto alla sua esistenza, si abituarono ai camion e agli aeroplani di tipo particolare che andavano e venivano. Era solamente una cittadina mineraria: Bartorstown venne costruita piu tardi, dietro al paravento di Fall Creek, e nessuno l’ha mai sospettato.»
Len stava riflettendo furiosamente, cercando di capire. Dopo un breve silenzio, domando:
«Nessuno ha sospettato nulla, neppure quando hanno cominciato ad arrivare tutti i nuovi abitanti?»
«Il mondo era pieno di profughi, e migliaia di essi si dirigevano proprio verso i posti piccoli e sperduti come questo, rifugiandosi tra le montagne, il piu lontano possibile dalle citta.»
Le ombre salivano, ora, ed essi entrarono nelle ombre, e venne il crepuscolo. Nel paese, si accendevano le prime lampade. Erano semplici lampade, come quelle che venivano accese a Piper’s Run, o a Refuge, o in migliaiai di altri paesi. La strada si allargava ed era pianeggiante, ormai. I muli erano stanchi, ma drizzarono le lunghe orecchie, e accelerarono l’andatura, sentendo la casa vicina, e i conducenti li richiamarono con aspre grida, e fecero schioccare le fruste come un crepitio di fucili nell’ombra del tramonto. C’era una vera e propria folla ad aspettarli, tra le piante, molte lanterne ardevano, le donne chiamavano i loro uomini che si trovavano sui carri, i bambini correvano intorno e gridavano lieti. Non avevano un aspetto diverso dalla gente che Len conosceva, dalla gente che aveva gia visto in quell’angolo del paese. Indossavano gli stessi abiti, e i loro modi erano gli stessi.
Hostetter ripete la sua frase, come se avesse conosciuto con esattezza i pensieri di Len:
«Bisogna vivere nel mondo. Non si puo uscire da esso.»
Len disse, con pacata malinconia:
«Qui non c’e neppure quello che avevo a Piper’s Run. Niente fattorie, niente cibo, solo rocce e sassi intorno. Perche la gente rimane qui?»
«Hanno una buona ragione.»
«Deve essere molto, molto grande,» ribatte Len, in tono amaro, un tono che voleva indicare come ormai lui non credesse piu a niente.
Hostetter non rispose.
I carri si fermarono. I conducenti scesero a terra, e tutti gli occupanti uscirono, ed Esau aiuto a scendere Amity, pallida e smarrita, che si guardo intorno con aria diffidente. Bambini e ragazzi corsero a prendere i muli, e li condussero via, con i carri. C’erano tante, tantissime facce sconosciute, e dopo qualche tempo Len si accorse che tutti, indistintamente, stavano guardando lui ed Esau. Si tennero vicini, allora, istintivamente, avvicinandosi a Hostetter. Hostetter si stava guardando intorno, chiamava a gran voce Wepplo, e il vecchio arrivo, sogghignando, tenendo il braccio attorno alla vita di una ragazza. La ragazza era piccola, con i capelli bruni e gli occhi vivi e guizzanti e neri, uguali a quelli di Wepplo, e un volto che aveva i lineamenti forse un po’ troppo pronunciati e decisi. Portava una camicetta col collo aperto e le maniche arrotolate, e una gonna che arrivava appena alla sommita degli stivali alti e morbidi. Guardo prima Amity, quindi Esau, e poi Len, soffermandosi piu a lungo su di lui, e non mostro alcuna timidezza nell’incontrare il suo sguardo.
«Mia nipote,» disse Wepplo, come se fosse fatta di oro puro. «Joan. La signora Amity Colter, il signor Esau Colter, e il signor Len Colter».
«Joan,» disse Hostetter. «Volete portare con voi la signora Colter, e farle compagnia per un poco?»
«Certo,» disse Joan, senza nessun entusiasmo. Amity si strinse a Esau, e accenno a una protesta, ma Hostetter la zitti, piuttosto seccamente.
«Nessuno vi mordera; ed Esau vi raggiungera non appena gli sara possibile».
Amity se ne ando, riluttante, appoggiandosi alla spalla della ragazza bruna. Sembrava una grossa matrona e non a causa del bambino, la cui nascita era ancora distante. La ragazza bruna lancio uno sguardo malizioso e allegro a Len, e poi scomparve nella folla. Hostetter rivolse un cenno amichevole a Wepplo, e poi disse a Len e a Esau:
«Va bene, andiamo».
Lo seguirono, e la gente li fissava e si scambiava commenti, non in maniera ostile, ma come se Len ed Esau fossero stati uno spettacolo di straordinario interesse per tutti. Len disse:
«Non sembrano molto abituati agli stranieri».
«No, non agli stranieri che vengono a vivere tra loro. Comunque, e molto tempo che hanno sentito parlare di voi. Siete diventati dei personaggi, e la gente e curiosa».
«I ragazzi di Hostetter,» disse Len, e sogghigno, per la prima volta da due giorni.
Anche Hostetter sogghigno. Li condusse per un vicolo buio, fiancheggiato da case sparse, fino ad arrivare a una casa abbastanza grande, con un portico lungo tutta la facciata. La casa si trovava su di un pendio, piu alta delle altre, di fronte alla miniera. Le assi che la coprivano erano vecchie e segnate dal tempo, e il portico era stato rinforzato piu volte con tronchi d’albero.
«Questo alloggio era stato costruito per il sopraintendente della miniera,» spiego Hostetter. «Ora ci vive Sherman».
«Sherman e il capo?» domando Esau.
«Di molte cose, si. Ci sono anche Gutierrez ed Erdmann. Anche loro hanno voce in capitolo, per certe altre cose».
«Ma Sherman ci ha permesso di venire,» disse Len.
«Ha dovuto parlarne agli altri. Hanno dovuto mettersi d’accordo».
C’erano delle lampade accese nella casa. Salirono i gradini, e si trovarono sul portico, e la porta si apri prima che Hostetter avesse potuto bussare. Una donna alta e sottile, con i capelli grigi e un volto simpatico, apparve sulla soglia, sorridendo e tendendo le braccia a Hostetter, che disse:
«Ciao, Mary».
E lei disse:
«Ed! Bentornato a casa,» e lo bacio sulle guance.
«Be’,» disse Hostetter. «E passato molto tempo».
«Undici, no, no, dodici anni,» disse Mary. «E bello riaverti tra noi».
Poi guardo Len ed Esau.
«Questa e Mary Sherman,» disse Hostetter, come se si sentisse in dovere di offrire una spiegazione. «Una vecchia amica. Giocava con mia sorella, quando eravamo tutti piu giovani… mia sorella e morta, ormai. Mary, questi sono i ragazzi».
Li presento. Mary Sherman sorrise, con aria un po’ malinconica, come se avesse avuto molte cose da dire. Ma si limito a dire:
«Si, li stanno aspettando. Entrate».
Entrarono nel soggiorno. Il pavimento era nudo e pulito, le tavole di pino consumate fino a mostrare il disegno del legno. I mobili erano vecchi, e semplici, di un genere che Len conosceva gia, e che veniva prodotto prima della Distruzione. C’era una grande tavola, con una lampada al centro, e tre uomini vi erano seduti attorno. Due avevano circa l’eta di Hostetter, e uno era piu giovane, sulla quarantina o poco piu. Uno dei due anziani, un uomo grande e grosso e massiccio, col mento prefettamente rasato e gli occhi chiari, si alzo e venne a stringere la mano a Hostetter. Poi Hostetter strinse la mano agli altri due, e ci furono dei convenevoli, di persone che non si vedevano da molto tempo. Len si guardo intorno, sentendosi a disagio, e si accorse che Mary Sherman era gia scomparsa.
«Avvicinatevi,» disse l’uomo alto e grosso, e Len capi che stava parlando a lui e a Esau. Avanzo nel circolo di luce, vicino alla tavola, ed Esau si fece avanti con lui. L’uomo massiccio li studio attentamente. I suoi occhi erano del colore del cielo invernale poco prima di una nevicata, acuti e penetranti. L’uomo piu giovane sedeva accanto a lui, con i gomiti appoggiati sulla tavola. Aveva i capelli rossicci, e aveva gli occhiali, e aveva il viso stanco, non una stanchezza del momento, ma una perenne necessita di riposo mai soddisfatta. Dietro di lui, nell’ombra tra la tavola e la grossa stufa di ferro, c’era il terzo uomo, piccolo, scuro e scontroso, con una barbetta a punta, molto curata, e bianca come biancheria di bucato. Len ricambio il loro sguardo, senza sapere quello che doveva provare… se essere in collera, o intimorito, o rispettoso. Cominciava a sudare, per il nervosismo di quell’attesa.
L’uomo grosso disse, improvvisamente:
«Io sono Sherman. Questo e il signor Erdmann,» l’uomo piu giovane fece un breve cenno del capo, «E questo e il signor Gutierrez». L’ometto acido borbotto qualcosa. «So che entrambi siete Colter. Ma quale dei due e Len, e quale Esau?»
Si presentarono. Hostetter si era ritirato nell’ombra, e Len lo udi riempire la pipa.
Sherman disse a Esau:
«Allora voi siete quello con la… ehm… con la madre in attesa».
Esau cerco di spiegare la cosa, e Sherman lo interruppe.
«So tutto, e ho gia rimproverato Hostetter per abuso di autorita, cosi possiamo lasciare le cose come sono, e non parlarne piu, tranne che per un particolare. Voglio che la portiate qui