«Ci sono degli scrutatori, anche qui,» disse Sherman. «Aspettate un secondo. Ecco fatto. Possiamo andare, adesso.»
La porta si apri. Era spessa e fatta di metallo, incastonata solidamente nella roccia viva. Ne varcarono la soglia, e la porta si chiuse silenziosamente alle loro spalle, e furono a Bartorstown.
Si trovavano ancora nella continuazione della galleria, ma la roccia era lavorata alla perfezione, lucida e liscia, e c’erano luci, sistemate a intervalli regolari nella volta, apparentemente incastonate anch’esse nella roccia. L’aria aveva un odore particolare, freddo e metallico. Len la sentiva sfiorare il suo viso, e c’era un fruscio sommesso, insistente, che pareva appartenere all’aria stessa. Ora i suoi nervi erano contratti, e il viso si era imperlato di sudore. Ebbe una visione rapida e paurosa della montagna vista dall’esterno, e penso che quella montagna era adesso su di lui, e gli parve di sentire quel peso enorme premere sul suo corpo e sul suo spirito.
«E tutto cosi?» domando. «Voglio dire, e tutto sotterraneo?»
Sherman annui.
«A quei tempi, costruivano molte cose sottoterra. Il sottosuolo era piu sicuro di una superficie aperta, e il cuore di una montagna costituiva la maggior sicurezza possibile.»
Esau stava osservando il corridoio. Gli pareva lunghissimo, pareva stendersi all’infinito.
«E molto grande?»
Fu Gutierrez a rispondere, questa volta.
«Cosa vuole dire, grande? Se considerate Bartorstown da un certo punto di vista, si tratta della cosa piu grande esistente al mondo. E tutto il passato, e tutto il futuro. Se la considerate da un altro punto di vista, e solo un buco nella terra, grande appena per seppellirci un uomo.»
Circa sei metri dopo, un uomo usci da una porta nella roccia, e venne incontro a loro. Era giovane, aveva circa l’eta di Esau. Si rivolse a Sherman e agli altri, salutandoli con franco rispetto, e poi studio apertamente i Colter, senza nascondere la propria curiosita.
«Salve,» disse. «Vi ho visti mentre attraversavate il passo inferiore. Io mi chiamo Jones.» Tese la mano.
Si scambiarono le rituali strette di mano, e poi tutti si avvicinarono alla porta. Al di la di essa c’era una stanza spaziosa, scavata nella roccia, piena di un’incredibile quantita di oggetti, pannelli, fili, manopole, pulsanti, e aggeggi simili all’interno di una radio. Esau si guardo intorno, e poi fisso con evidente rispetto Jones.
«Siete voi quello che preme il bottone?»
Rimasero tutti perplessi, a quelle parole, e poi, improvvisamente, Hostetter scoppio in una fragorosa risata.
«Wepplo si e divertito a spaventarli!» disse. «No, Jones avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione piu in alto.»
«In realta,» disse Sherman, che aveva capito il significato delle parole di Esau, «Non abbiamo mai premuto quel bottone, almeno fino a questo momento. Ma teniamo il meccanismo in perfetto ordine di funzionamento, in caso di necessita. Una precauzione elementare. Ma venite qui.»
Con un breve cenno, indico loro di seguirlo, ed essi obbedirono, con la vigile tensione di uomini o di animali che si trovano in un luogo strano e ignoto, e pensano di dover essere costretti, forse, a scappare in fretta per salvarsi. Fecero molta attenzione a non toccare niente. Jones li precedette, e comincio, con noncurante disinvoltura, a fare qualcosa, armeggiando intorno alle manopole e agli interruttori. Non aveva affatto un atteggiamento d’importanza, pareva intento a fare qualcosa per lui straordinariamente naturale. Sherman indico una finestrella quadrata di vetro, e Len la fisso per diversi secondi prima di rendersi conto che non poteva essere una finestra, e che se lo fosse stata non avrebbe potuto guardare direttamente sul passo che stava dall’altra parte del contrafforte roccioso.
«Gli scrutatori raccolgono le immagini, e le ritrasmettono a questo schermo,» disse Sherman.
Prima che Sherman avesse potuto proseguire, dando ulteriori spiegazioni, Esau esclamo, con il tono di un bambino che incontra una bellissima sorpresa:
«La tivu!»
«Si, si basa sullo stesso principio,» disse Sherman. «Dove ne avete sentito parlare?»
«Da nostra nonna. Lei ci raccontava tantissime cose.»
«Oh, si. Ne avete parlato, ricordo… e stata lei a parlarvi di Bartorstown.» Gentilmente, ma con incrollabile fermezza, attiro di nuovo la loro attenzione sullo schermo. «C’e sempre qualcuno di guardia, qui, intento a osservare. Nessuno puo attraversare quel passo senza essere visto… e, allo stesso modo, nessuno puo entrare,
La sua voce aveva sottolineato quelle ultime parole: non aveva cambiato tono, ma era impossibile evitare di cogliere il significato.
«E durante la notte?» domando Len. Supponeva che Sherman avesse tutti i diritti di ricordare continuamente il suo ammonimento, e la loro situazione; ciononostante la cosa lo offendeva un poco.
Sherman lo fisso con uno sguardo freddo e penetrante.
«La vostra nonna vi ha detto nulla a proposito degli occhi elettronici?»
«No.»
«Possono vedere anche al buio. Fategli vedere come, Jones.»
Il giovane mostro loro un pannello, irto di piccoli bulbi di vetro, disposti su due file opposte.
«Questo e come il passo inferiore, vedete? E queste lampadine, sono le coppie di occhi elettronici. Quando camminate tra i due punti, che sono uniti da una linea invisibile, voi spezzate questa linea, e le lampadine si accendono. Cosi sappiamo esattamente dove siete.»
Se Esau aveva compreso lo scambio di velate allusioni, non lo dimostro. Stava fissando con occhi grandi, lucidi e invidiosi la figura di Jones, e improvvisamente domando:
«Potrei imparare anch’io a fare queste cose?»
«Non vedo perche non dovreste,» rispose Sherman. «Naturalmente, se avete voglia di studiare.»
Esau respiro piu forte, e sorrise.
Uscirono dalla stanza e si ritrovarono nel corridoio, sotto le luci brillanti. C’erano delle altre porte, contraddistinte da numeri, e Sherman disse che si trattava di depositi. Poi il corridoio si divise in due rami. Len era confuso, ora, perche l’orientamento era difficile in quel mondo sotterraneo, ma gli altri imboccarono il corridoio di destra, che si allargava in una vertiginosa serie di stanze scavate nella roccia, con grandi colonne disposte in file ordinate per sorreggere il peso della volta. Le stanze erano separate l’una dall’altra, ma intercomunicanti, come i segmenti di una ruota, e alle pareti esterne parevano esserci delle aperture che immettevano in camere piu piccole. Erano piene di oggetti, e Len, dopo pochi minuti, rinuncio a capire quello che vedeva, perche ci sarebbero voluti anni e anni di studi per permettergli di comprendere. Si limito a guardare, e a immergersi nella strana atmosfera di quel luogo, e cerco di accettare quella che era la realta: il fatto che lui fosse entrato in un altro mondo, in un mondo completamente dissimile da quello che aveva conosciuto.
E la collera gli pareva futile, adesso, e infantile. Quella era Bartorstown. Ed era fuori del mondo.
Sherman stava parlando. A volte anche Gutierrez, e perfino Erdmann, si inserivano nelle conversazioni. Anche gli altri uomini pronunciavano qualche parola. Solo Hostetter taceva.
Spiegarono che Bartorstown era stata costruita per essere del tutto autosufficiente, per lo meno entro i limiti in cui poteva esserlo un luogo simile. Era in grado di provvedere alle necessarie riparazioni, e di produrre nuove parti, e c’erano ancora delle riserve dei materiali che erano stati forniti a quello scopo ai tempi della costruzione. Sherman mostro le diverse stanze, il laboratorio di elettronica, l’officina di manutenzione elettrica, il reparto radio, stanze piene di strani macchinari e di strane, fantasmagoriche, scintillanti sagome di vetro e metallo, e pannelli senza fine, irti di lancette e di quadranti e di luci ammiccanti. A volte ancora non c’era nessuno, solo una quiete vuota, con il fruscio sommesso dell’aria che rendeva quei luoghi ancora piu silenziosi e solitari. Sherman parlo di condotti di ventilazione, e di pompe, e di depuratori. ’Automatico’ era la parola che egli usava piu di tutte le altre, ed era una parola strana e prodigiosa. Le porte si aprivano automaticamente, quando si arrivava davanti a esse, e le luci si accendevano e si spegnevano senza bisogno di muovere un dito.
«Automatico, tutto automatico,» disse Hostetter, uscendo dal suo silenzio, sbuffando, con disprezzo. «E ci meravigliamo che i Mennoniti abbiano ottenuto un potere cosi grande nel paese! La gente comune era cosi viziata dall’automazione, che non sapeva neppure allacciarsi le stringhe delle scarpe, senza una macchina che l’aiutasse.»
«Ed,» disse Sherman, quietamente. «Non saresti un buon agente pubblicitario per Bartorstown;»
«Chissa,» disse Hostetter. «Sembra pero che sia stato abbastanza efficace, almeno per qualcuno.»
Len lo fisso. Ormai aveva imparato a conoscere bene Hostetter, e capiva che era preoccupato e nervoso e a disagio. Len avverti un brivido freddo lungo la schiena, e si volse di nuovo a guardare tutte le strane cose che lo circondavano. Erano meravigliose, e affascinanti, e non volevano dire niente, se qualcuno non diceva prima quale scopo avevano. E nessuno aveva detto niente.
Lo disse ad alta voce, e Sherman annui.
«Uno scopo esiste. Tutte queste cose hanno uno scopo. Volevo che prima vedeste tutta Bartorstown, e non solo una piccola parte di essa, per comprendere quanto fosse importante il suo scopo, almeno per il governo di questo paese, ancora prima della Distruzione. Cosi importante da indurre il governo a provvedere affinche Bartorstown potesse sopravvivere, anche se tutto il resto fosse andato distrutto, come infatti e accaduto. Ora vi faro vedere un’altra parte delle installazioni; la centrale di energia.»
Hostetter apri la bocca, per parlare, e Sherman disse, con calma:
«Faremo a modo mio, Ed.» Li condusse ancora lungo il corridoio centrale, che Len aveva paragonato al mozzo della ruota, e guardando di sbieco Len ed Esau, disse, «Ci serviremo della scala, invece che dell’ascensore.»
Per tutta la discesa lungo la scala di metallo, che riecheggiava cupamente sotto i loro passi, Len cerco di ricordare che cosa fosse un ascensore, un nome che aveva gia sentito menzionare dalla nonna, ma non vi riusci. Poi si fermo con gli altri a un nuovo piano, e si guardo intorno.
Si trovavano in un’immensa caverna, che rimandava l’eco di una possente e profonda vibrazione, mescolata con altri suoni sconosciuti alle orecchie di Len, ma che, mescolati gli uni con gli altri, parlavano con una voce inconfondibile, che diceva una parola che nessuno aveva pronunciato davanti a lui in passato, all’infuori delle voci naturali del vento e del tuono e dell’inondazione. La parola era energia. Pura energia della natura, della materia, degli elementi. La volta era stata lasciata piu grezza, in quella caverna immane, e tutto lo spazio era inondato da una luce bianca, liquida e incandescente, e in quella luce si ergevano massicce molte possenti strutture tozze, bulbose, gigantesche, vicino alle quali gli uomini che lavoravano sembravano dei nani. La carne di Len avvertiva quel pulsare e quel vibrare dell’aria e della roccia, e le sue narici si contrassero, per uno strano sentore che pervadeva l’aria.
«Questi sono i trasformatori,» disse Sherman. «Vedete i cavi… scorrono in condotti nascosti, e portano l’energia a tutta Bartorstown. Questi sono i generatori, e queste le turbine…»
«…l’impianto a vapore…»
Ecco, quello era comprensibile. Enormemente piu grande di qualsiasi altra cosa avessero sognato, ma era a vapore, e il vapore lo riconoscevano, era un vecchio amico tra quei giganti stranieri. Indugiarono, quasi aggrappandosi a esso, all’unica cosa familiare, facendo dei confronti, e uno dei due uomini dei quali Len non aveva capito bene il nome spiego pazientemente tutte le differenze di modello e di funzionamento.
«Ma non c’e la caldaia,» disse Esau. «Non c’e fuoco, ne combustibile. Da dove viene il calore?»
«Di la,» disse l’uomo, e punto il braccio. L’impianto a vapore si stendeva fino a una massa di cemento, alta, lunga e massiccia. «Quello e il commutatore di calore.»
Esau osservo il cemento, accigliato.
«Non vedo…»
«E tutto schermato, naturalmente. E caldo.»
«Caldo,» disse Esau. «Be’, certo, deve essere caldo, per far bollire l’acqua. Ma ancora non capisco…» Si guardo intorno, cercando qualcosa nei recessi della grande caverna. «Ancora non riesco a capire che cosa usate come combustibile.»
Ci fu un momento di silenzio, un silenzio pulsante e vibrante come poteva esserlo in quel luogo vasto e misterioso. La pulsazione era forte nelle orecchie di Len, e oscuramente egli intui di