«Non avrebbero potuto distruggere le bombe?» domando Len.
Era una domanda stupida, e subito si arrabbio con se stesso per averla fatta, perche conosceva gia la risposta: aveva parlato a lungo di quei tempi con il giudice Taylor, aveva letto diversi libri sull’argomento. Cosi si affretto a prevenire la risposta di Sherman, dicendo:
«Lo so, pensavano che il nemico non avrebbe distrutto le sue. La cosa migliore sarebbe stata quella di non avere mai creato la bomba.»
Sherman rispose:
«La cosa migliore sarebbe stata quella di non imparare mai ad accendere un fuoco, cosi nessuno si sarebbe mai bruciato. Inoltre, era un po’ troppo tardi per questo. Dovevano affrontare una realta, non un argomento filosofico.»
«E allora,» disse Len, «Qual era la risposta?»
«Una difesa: non la difesa imperfetta del radar e di altre armi, ma qualcosa molto piu fondamentale e totale, un concetto completamente nuovo. Un campo di forza in grado di controllare le reazioni delle particelle nucleari al loro stesso livello, in modo che non potesse verificarsi alcun processo di fissione, o di fusione, dovunque quel campo protettivo fosse in funzione. Un completo controllo, Len. La padronanza assoluta dell’atomo. La fine delle bombe, di tutte le bombe.»
Silenzio, calma, ed essi lo osservarono di nuovo, per vedere quali sarebbero state le sue reazioni. Lui chiuse gli occhi, per non vedere quelle immagini, e riuscire a pensare, o almeno tentare di farlo, e le parole risuonavano nella sua mente, forti e fredde, per il momento senza significato. Controllo completo. La fine delle bombe, di tutte le bombe. La cosa migliore sarebbe stata quella di non averle mai costruite, ne le bombe, ne il fuoco, ne le citta…
No.
No, una parola ripetuta, lentamente, con attenzione,
No, no, no. Queste sono le parole del predicatore, le parole di Burdette. Completo controllo dell’atomo. La fine delle bombe. La fine delle vittime, la fine della paura. Si. Si costruiscono delle stufe, per tenere prigioniero, docile e mansueto, il fuoco, e si tiene l’acqua a portata di mano per spegnerlo, se si ribellasse. Si.
Ma…
«Ma non trovarono quella difesa,» disse. «Perche il mondo venne bruciato dalle bombe, malgrado ogni sforzo.»
«Tentarono di farlo. Ci hanno indicato la strada. Noi la stiamo ancora seguendo. E adesso, proseguiamo.»
Varcarono la porta oltre la quale Gutierrez se ne era andato, e si trovarono in uno spazio ricavato dalla roccia solida, come tutti gli altri, pareti lisce e colonne e tanto spazio che sfuggiva via in lontananza, inondato da torrenti di luce. C’era una grande parete, davanti a loro. Non era una vera parete, pero, ma un immenso pannello, grande come una parete, isolato, collegato a due piccole macchine. Era alto quasi due metri, non raggiungeva il soffitto. C’era un labirinto di quadranti e lancette e lampade. Le lampade erano tutte spente, buie, e le lancette dei quadranti erano immobili. Gutierrez era in piedi davanti a esso, e il suo viso era torvo, triste, angosciato.
«Questa e Clementina,» disse, senza girare la testa al loro ingresso. «Un nome stupido per una cosa sulla quale puo poggiare il futuro del mondo.»
Len abbasso le braccia, e in quel gesto c’era il significato di abbandonare molte cose pesanti, troppo pesanti o troppo dolorose per essere portate. Nella mia testa non c’e niente, deve restare cosi. Il vuoto si deve riempire lentamente di nuove cose, e le vecchie cose devono disporsi secondo nuovi disegni, e allora forse, forse riusciro a capire… che cosa? Non lo so. Non so niente, e tutto e buio e confusione, e solo la Parola…
No, non quella Parola. Un’altra. Clementina.
Sospiro e disse, ad alta voce:
«Non capisco.»
Sherman si avvicino al grande pannello buio.
«Questo e un computer. E il piu grande che sia mai stato costruito, il piu complesso. Vedete, qui…»
Punto il braccio, indicando un punto oltre il pannello, nello spazio sorretto da colonne che si stendeva la, e Len vide che c’erano innumerevoli file di strane disposizioni di fili e tubi, messi tutti in ordine, uno dopo l’altro, interrotti a intervalli da grandi cilindri di cristallo scintillante.
«Tutto cio ne fa parte.»
La passione che Esau provava per le macchine si stava ridestando, un raggio ancora debole attraverso la nebbia della paura.
«E tutta una macchina? Una sola macchina?»
«Tutta una macchina. In essa, in quei banchi-memoria, e immagazzinata tutta la conoscenza sulla natura dell’atomo che esisteva prima della Distruzione, e tutta la conoscenza che hanno ottenuto da allora i nostri ricercatori… tutte queste cose sono espresse in equazioni matematiche. Senza di essa, non potremo lavorare. I nostri uomini impiegherebbero tutta la vita, solo per elaborare i problemi matematici che Clementina e in grado di risolvere in pochi minuti. E la ragione dell’esistenza di Bartorstown, lo scopo dei laboratori e del reattore, di tutto cio che avete visto qui. Senza di lei, non avremmo alcuna possibilita di scoprire la risposta in un periodo prevedibile da una mente umana. Con lei… non si puo mai dire. Da un giorno all’altro, da una settimana all’altra, potremmo arrivare alla soluzione del problema.»
Gutierrez emise un suono che avrebbe
«Non capisco.»
E non credo di avere alcun desiderio di capire. Non oggi, non adesso. Perche quello che mi state dicendo non corrisponde alla descrizione di una macchina, ma di qualche altra cosa, e non voglio sapere di piu.
Ma Esau esclamo:
«E capace di sommare, collegare e ricordare? Ma questo non corrisponde alla descrizione di una macchina, e molto di piu. Sembra un… un…»
Si trattenne, allora, e Sherman disse, in tono spassionato:
«Una volta, li chiamavano anche cervelli elettronici.»
Oh, Signore, non avra mai fine? Prima il fuoco dell’inferno, e ora questo!
«Un nome di fantasia, naturalmente,» disse Sherman. «Non e in grado di pensare, piu di quanto non sia in grado di pensare un motore a vapore. E soltanto una macchina.»
E d’un tratto si giro verso di loro, col viso severo e gli occhi gelidi e la voce sferzante come una frusta, una voce imperiosa che attirava l’attenzione ed esigeva il rispetto.
«Non voglio farvi vedere troppe cose,» disse. «Non mi aspetto che comprendiate tutto in un momento, e non mi aspetto che riusciate ad adattarvi a queste cose in pochi giorni. Vi accordero un periodo di tempo ragionevole. Ma voglio che ricordiate una cosa. Avete lottato, e gridato, e sofferto, per ottenere il permesso di entrare a Bartorstown, e adesso siete qui, e non m’importa quello che pensavate che fosse, ne quali fossero i vostri sogni, la fuori: Bartorstown e questa, e cosi, e cosi accettatela, senza discussioni. Abbiamo un certo lavoro da compiere, qui. Non l’abbiamo cercato, non l’abbiamo chiesto, ci e capitato addosso, ma siamo legati a esso e intendiamo svolgerlo, qualsiasi cosa possa pigolare la vostra coscienza da contadinelli.»
Rimase immobile, fissandoli con i suoi occhi freddi e duri, e Len penso, e deciso, e sincero, proprio come Burdette era deciso e sincero quando diceva: ’Non ci saranno citta in mezzo a noi’.
«Avete detto che volevate venire qui per imparare,» disse Sherman. «Va bene. Vi daremo tutte le possibilita d’imparare. Ma, da questo momento in avanti, il compito spettera a voi.»
«Sissignore,» si affretto a dire Esau, «Oh,
Len penso: Non c’e ancora niente nella mia testa, mi sembra che sia stata attraversata dal vento. Ma lui mi sta guardando, aspetta che io dica qualcosa… che cosa? Si, no… e sotto il sole ci hanno tenuti fuori ad attendere, e abbiamo molto faticato per entrare, e adesso siamo prigionieri di una fossa che abbiamo scavato con le nostre mani…
Ma tutto il mondo e prigioniero di una fossa. Non e quello che volevamo abbandonare, non e quello che volevamo sfuggire, la fossa che ha ucciso Dulinsky e quasi ha ucciso noi? La gente ha paura, e io li odiavo per questo, e ora… non so piu quale sia la risposta, oh, Signore, non so, non so, fammi trovare una risposta perche Sherman sta aspettando e io non posso scappare.
«Un giorno,» disse, corrugando la fronte, nello sforzo di pensare, e assomigliava ancora di piu al ragazzo pensieroso che si era seduto sul gradino, con la nonna, in un giorno fiammeggiante d’ottobre, «Un giorno l’energia atomica ritornera nel mondo, nonostante tutti gli sforzi che possano venire compiuti per cancellarla.»
«Una cosa nota una volta ritornera sempre.»
«E anche le citta ritorneranno.»
«Col tempo, e inevitabile.»
«E accadra tutto per la seconda volta, le citta e la bomba, a meno che voi non troviate il modo per fermarlo.»
«Se gli uomini non saranno molto, molto cambiati, quando verra la prossima volta, si.»
«Allora,» disse Len, sempre accigliato, sempre scuro in volto. «Allora immagino che stiate tentando di fare cio che e necessario. Forse avete ragione.» Una pausa. «Forse puo essere giusto.»
Quella parola parve appiccicarsi sulla sua lingua, ma riusci a spingerla fuori, e non scese la folgore a incenerirlo, e Sherman non gli fece altre domande.
Esau si era avvicinato al pannello, affascinato dalle lusinghe della macchina. Allungo la mano, esitante, e tocco il pannello, e domando:
«Potrei vederla funzionare?»
Fu Erdmann a rispondere.
«Piu tardi. Ha appena terminato un programma di tre anni, e adesso e ferma, per una revisione completa.»
«Tre anni,» disse Gutierrez. «Si. Vorrei che aveste potuto fermare anche me, per una revisione. Sai, Frank, ne avrei bisogno. Smontare il mio cervello, e rimetterlo assieme, fresco e scintillante e pronto.» Comincio ad alzare e ad abbassare il pugno sul pannello, con un tocco lieve, lieve come il cadere di una piuma. «Frank,» disse. «Avrebbe potuto commettere un errore.»
Erdmann lo fisso, freddamente.
«Lo sai che non e possibile.»
«Una carica statica,» disse Gutierrez. «Un accumulo di elettricita, un granello di polvere, un rele troppo consumato per funzionare bene… come potresti saperlo?»
«Julio,» disse Erdmann. «Queste cose le sai meglio di me. Se ci fosse anche il minimo inconveniente, nella macchina, si fermerebbe automaticamente, chiedendo il nostro intervento.»
Sherman parlo, e la conversazione s’interruppe, e tutti cominciarono a muoversi, sfilando lentamente per il breve corridoio pieno d’immagini e di paure. Gutierrez si avvicino a Len, camminando piu svelto, e anche attraverso le nubi di dubbio e di paura, di sgomento e d’incertezza, che gravavano nella sua mente in quel momento, Len pote udirlo borbottare tra se:
«
23.
Hostetter era una lampada nell’oscurita, una solida roccia nel cuore dell’inondazione. Era il legame, il contatto tra Piper’s Run e Bartorstown, era il vecchio amico e il braccio forte che l’aveva gia salvato due volte, una volta alla predica, l’altra volta a Refuge. Len si aggrappo a lui, mentalmente, con una sorta di disperazione.