contro il cielo. C’era una macchia di sommacchi ai bordi del campo, cosi trionfalmente scarlatti da fargli chiudere gli occhi. Si fermo davanti a quello splendore, e si volse a guardare indietro.

Di la poteva vedere quasi tutta la fattoria, il preciso disegno dei campi, le staccionate ben curate che si stendevano serpentine a contornarli, le costruzioni raggruppate, dai tetti solidi e perfetti, colorati dalle stagioni e dagli anni di una patina grigio-argentea che scintillava nel sole. Le pecore brucavano placidamente sui pascoli alti, e in quelli piu bassi c’erano le mucche, la cavalla da tiro, e i grandi cavalli dai forti muscoli, tutti lustro e grasso. Il fienile e il granaio erano pieni. La cantina degli ortaggi era ben rifornita di tuberi saporiti, la cantina della casa era piena di formaggi e di otri, di pancetta e di strutto, e di prosciutti appena affumicati, e avevano preso tutto quel ben di Dio dalla terra, con le loro mani, con il loro lavoro. Una sensazione di calore comincio a pervadere Len, e insieme a essa venne un amore appassionato, inesprimibile per il posto che stava guardando, i campi e la casa, il fienile, i boschi, il cielo. Capiva bene, ora, che cosa aveva voluto dirgli suo padre. Questo era buono, e Dio era buono. Capi che cosa intendeva dire papa, parlando di cuore contento. Comincio a pregare. Quando ebbe finito di pregare si volto, e si addentro tra gli alberi.

Vi era stato tante volte che si era formato uno stretto sentiero battuto attraverso il bosco. Ora il passo di Len era leggero, e la sua testa era alta. Il largo cappello s’impigliava tra i rami piu bassi, ed egli se lo tolse. Ben presto si tolse anche la giubba. Il sentiero procedeva vicino a una pista lasciata dai cervi. Diverse volte Len si curvo a vedere se non ci fosse qualche traccia recente, e quando attraverso una radura dall’erba alta e folta pote vedere le depressioni rotonde d’erba schiacciata, la dove i cervi avevano riposato.

Pochi minuti piu tardi giunse in una lunga radura. La boscaglia si faceva piu rada, ricacciata via dai grandi, maestosi aceri che crescevano in quel luogo. Len si mise a sedere, arrotolando la giubba, e poi si distese sulla schiena con la giubba sotto la testa, e guardo in alto, tra il fogliame degli alberi. I rami formavano un mutevole disegno d’ombra, che racchiudeva una nube di foglie dorate, e sopra di essi il cielo era cosi azzurro e profondo e quieto che pareva facile tuffarsi in esso, e lasciarsi cullare dal suo tepore. Di quando in quando, una breve pioggia di foglie dorate scendeva dai rami, veleggiando lentamente nell’aria quieta, uno sfarfallare pigro e colorato che rischiarava le ombre della radura. Len meditava, ma i suoi pensieri non avevano piu una forma precisa. Per la prima volta, dalla notte della predica, erano pensieri semplici e lieti. Dopo qualche tempo, pervaso da un senso di pace totale, scivolo nel torpore del dormiveglia. E poi, d’un tratto, si rizzo a sedere di scatto, con il cuore che batteva forte, e il sudore improvviso sulla fronte.

C’era un rumore nei boschi.

Non era un rumore giusto, come quelli prodotti da un animale, o da un uccello, o dal vento, o dai rami degli alberi. Era uno scoppiettio e un sibilo e uno sfrigolio, tutti mescolati, e nel bel mezzo di quella strana confusione venne un improvviso rombo. Non fu forte, pareva sottile e lontano, eppure pareva venire da vicino. Improvvisamente il rumore fini, come se fosse stato troncato di netto dalla lama di un coltello.

Len rimase immobile, tendendo l’orecchio.

Il rumore si udi di nuovo, ma debolissimo, ora, furtivo, e si mescolava al fruscio prodotto dalla brezza tra i rami piu alti degli alberi. Len si mise a sedere, e si tolse le scarpe. Poi avanzo, scalzo e silenzioso, sul tappeto di muschio e d’erba, all’estremita della radura, e poi, cercando di procedere nel modo piu silenzioso possibile, avanzo lungo il letto asciutto di un torrentello, fino a quando la boscaglia non si dirado di nuovo in un boschetto di noci. Attraverso il boschetto, s’immerse in una macchia di stramoni, e avanzo carponi, fino a quando non pote guardare dall’altra parte. Il suono non era aumentato d’intensita, ma era piu vicino. Molto piu vicino.

Oltre gli stramoni c’era un pendio erboso, un prato dove le viole crescevano numerose in primavera. Era un pendio a forma di cuneo, proprio dove il fiume che dava il nome al villaggio si gettava nel lento e limaccioso Pymatuning. C’era un grande albero che sporgeva i suoi rami sul fiume, all’estremita, con meta delle radici esposte dall’erosione del terreno a causa delle molte piene del corso d’acqua. Era il luogo piu segreto che si poteva trovare in un pomeriggio di sabato in ottobre, proprio nel cuore dei boschi, nel punto piu lontano dalle fattorie che si trovavano su entrambe le rive del fiume.

Esau era la. Sedeva curvo su un tronco caduto, e il rumore veniva da qualcosa che lui teneva tra le mani.

4.

Len usci dagli stramoni. Esau balzo in piedi, impaurito, con aria vistosamente colpevole. Cerco di correre via, e di nascondere l’oggetto dietro la schiena, e di schivare un colpo improvviso, tutto nello stesso tempo, e quando vide che si trattava solo di Len cadde di nuovo a sedere sul tronco, come se le gambe gli si fossero piegate sotto il corpo.

«Perche hai fatto una cosa simile?» domando, a denti stretti. «Credevo che fosse mio padre.»

Gli tremavano le mani. Stava ancora cercando di nascondere cio che teneva tra di esse. Len si fermo dov’era, sorpreso dall’evidente spavento di Esau.

«Che cos’hai?» domando.

«Niente. Solo una vecchia scatola.»

Era una misera bugia. Len la ignoro. Silenziosamente, si avvicino a Esau, e guardo. L’oggetto aveva la forma di una scatola. Era piccolo, largo solo pochi centimetri, e piatto. Era di legno, ma aveva un aspetto diverso da quello di qualsiasi oggetto di legno che Len avesse visto prima di allora. Sul momento, non riusci a stabilire quale fosse la differenza, ma c’era, ed era evidente. C’erano delle curiose aperture, e diversi bottoni che sporgevano dai lati, e in un punto c’era un rocchetto di filo infilato in un buco, solo che questo filo era metallico. L’oggetto ronzava e bisbigliava da solo.

Sorpreso, e non poco spaventato, Len domando:

«Che cos’e?»

«Hai presente quella cosa di cui la nonna parla, a volte? La cosa da cui le voci escono nell’aria?»

«La tivu? Ma quella era grande, e si vedevano delle figure.»

«No,» disse Esau, «Voglio dire quell’altra cosa, quella che aveva soltanto delle voci.»

Len respiro, un respiro lungo e un po’ rauco, e si accorse di tremare un poco, in tutto il corpo.

«Oh-h!» Allungo un dito, timoroso, e tocco la scatola ronzante, la sfioro appena, per assicurarsi che fosse veramente la. Poi disse, «Una radio?»

Esau poso l’oggetto sulle ginocchia, tenendolo stretto con una mano. L’altra mano si mosse fulminea, e afferro la camicia di Len. Il volto di Esau era cosi minaccioso, che Len non tento neppure di divincolarsi, o di reagire. E poi, non avrebbe resistito in nessun modo, per timore che la radio potesse rompersi.

«Se lo dici a qualcuno ti ammazzo,» disse Esau. «Lo giuro, che ti ammazzo.»

Lo guardo con tale furiosa insistenza, che Len non dubito neppure per un momento che egli non stesse parlando seriamente. D’altronde, non si senti di biasimarlo. Rispose:

«Non diro niente, Esau. Davvero… lo giuro sulla Bibbia.» I suoi occhi erano attirati irresistibilmente dalla cosa meravigliosa, spaventosa, magica che Esau teneva sulle ginocchia. «Dove l’hai trovata? Funziona? Riesci a sentire davvero delle voci?» Si chino, finche il suo mento fu quasi sulla coscia di Esau.

Esau lascio andare la camicia di Len, e tocco di nuovo la liscia superficie di legno della scatola. Cosi da vicino, Len pote notare che intorno ai bottoni c’erano dei punti consumati dal contatto delle dita, e che c’era un angolo scheggiato. Questi piccoli particolari diedero improvvisamente il senso della realta dell’oggetto. Qualcuno l’aveva posseduto e usato per molto, molto tempo.

«L’ho rubata,» dichiaro Esau. «Apparteneva a Soames, il mercante.»

Quel nervo ormai familiare si contrasse e vibro nello stomaco di Len. Indietreggio un poco, e guardo Esau, e poi si guardo intorno, come se si fosse aspettato di vedere una pioggia di pietre uscire dai bordi dei boschi, pietre scagliate da mani implacabili e invisibili.

«Ma tu come l’hai presa?» domando, abbassando inconsciamente la voce.

«Ricordi quando il signor Hostetter ci ha fatti salire sul carro, e poi e sceso a cercare qualcosa?»

«Si, e andato a prendere una cassetta dal carro di Soames… oh!»

«Era nella cassetta. C’erano delle altre cose, credo fossero dei libri, e altri oggetti piu piccoli, ma era buio, e non osavo fare rumore. Potevo sentire che si trattava di qualcosa di diverso, come le vecchie cose delle quali la nonna parla a volte. Cosi l’ho nascosta nella camicia.»

Len scosse il capo, piu con stupore che con rimprovero.

«E per tutto il tempo noi pensavamo che tu fossi svenuto. Perche l’hai fatto, Esau? Voglio dire, come hai potuto indovinare che ci fosse qualcosa d’importante nella cassetta?»

«Be’, Soames veniva da Bartorstown, no?»

«E quanto hanno detto alla predica. Ma…» Len s’interruppe, perche la verita era una logica conseguenza di quelle parole. Tutto fu chiaro, per lui, abbagliante come se una grande luce si fosse accesa improvvisamente nella sua mente. Guardo la radio. «Veniva da Bartorstown. Percio una Bartorstown esiste. E reale.»

«Quando ho visto Hostetter ritornare al carro reggendo quella cassetta, ho dovuto guardarci dentro, per scoprire che cosa conteneva. Non avrei mai toccato delle monete, o altre cose del genere, ma questa…» Esau accarezzo la radio, rigirandola con delicatezza tra le mani. «Guarda questi bottoni, guarda come e fatta questa parte. Nessun fabbro di nessun villaggio potrebbe mai fare una cosa simile, Len. Deve essere stata fatta a macchina. Il modo in cui e montata, come e fatta dentro…» cerco di guardare attraverso le aperture della griglia, muovendo la radio in modo che la luce filtrasse all’interno. «Dentro ci sono le cose piu strane.» Poso di nuovo la radio. «All’inizio non sapevo che cosa fosse. Lo sentivo soltanto. Ma dovevo averla!»

Len si alzo, lentamente. Cammino sull’argine del fiume, e guardo in basso, osservando le acque’ torpide, lente e per meta coperte di foglie rosse e oro.

Esau disse, nervosamente:

«Che ti prende? Se vuoi fare la spia, diro che l’hai rubato insieme a me, diro che…»

«Non ho intenzione di dire niente, io,» lo rimbecco Len, con ira. «Tu hai avuto questa cosa per tre settimane, e non mi hai detto niente, e io sono capace di mantenere un segreto.»

«Non osavo dirti niente,» rispose Esau. «Sei molto giovane, Lennie, e hai sempre dato ascolto a tuo padre.» Aggiunse, con un fondo di verita, «Inoltre, non ci siamo quasi piu visti, dalla notte della predica.»

«Non importa,» disse Len. Importava naturalmente, e molto, e lui si sentiva ferito e offeso per la mancanza di fiducia dimostrata da Esau verso di lui, ma non voleva farlo sapere al cugino. «Stavo solo pensando…»

«Che cosa?»

«Be’, il signor Hostetter conosceva Soames. E andato alla predica per cercare di aiutarlo, e poi ha preso la cassetta dal carro di Soames. Puo darsi…»

«Si,» disse Esau. «L’ho pensato anch’io. Puo darsi che anche il signor Hostetter venga da Bartorstown, e non dalla Pennsylvania, come tutti credono.»

Grandi visioni di spaventose e meravigliose possibilita si aprirono nella mente di Len. Rimase la, sull’argine del Pymatuning, mentre le foglie d’oro e porpora scendevano fluttuando lente, e i corvi ridevano della loro aspra risata piena di scherno, e gli orizzonti si allargarono e brillarono intorno a lui fino a stordirlo. Poi ricordo per quale motivo si trovava la, o meglio per quale motivo papa lo aveva mandato nei campi e nei boschi a meditare, e penso che solo pochi minuti prima lui aveva fatto la pace con Dio e con il mondo, e che quella sensazione era stata meravigliosa. E adesso era tutto scomparso un’altra volta.

Si volto, finalmente.

«Riesci a sentire delle voci con questa?»

«Non ho ancora sentito niente,» disse Esau. «Ma voglio insistere, fino a quando ci riusciro.»

Tentarono l’impresa per tutto il resto del pomeriggio, girando cautamente i diversi bottoni, uno dopo l’altro. Esau aveva girato un bottone piu del dovuto, altrimenti Len non avrebbe mai sentito il rumore che lo aveva attirato la, e gli aveva fatto compiere quella sconcertante scoperta. Nessuno dei due aveva la piu remota idea di come funzionasse una radio, ne di quale fosse lo scopo dei bottoni, e delle aperture, e del rocchetto di sottile filo metallico. Potevano procedere soltanto per esperimenti, e quello che riuscivano a captare era il rumore ormai familiare, quello fatto di sfrigolii,

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